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A tre anni dal rapimento Regeni, la verità è ancora lontana

Il giovane ricercatore è scomparso al Cairo il 25 gennaio del 2016 e nove giorni dopo è stato ritrovato il suo corpo martoriato. La madre: “Non molliamo”.

Nel terzo anniversario del rapimento al Cairo di Giulio Regeni, la mamma scrive sul suo profilo Facebook “25 GENNAIO 2019…OGGI E SEMPRE, Il GIALLO!NON MOLLIAMO, CARO GIULIO. Thruth for Giulio Regeni”, al post è allegata una foto, alcuni fiori gialli in un giardino imbiancato dalla neve. Gialli come le spillette e i manifesti con le scritte “Verità per Giulio Regeni”, verità che a tre anni dall’accaduto tra continui depistaggi e scarsa collaborazione non è mai saltata fuori.

 Il 25 gennaio di tre anni fa il giovane ricercatore di Udine esce di casa, al Cairo, per andare in piazza Tahrir al compleanno di un amico. Ma non ci arriverà mai perché scompare a una fermata della metropolitana, non lontana dal centro. Il suo corpo, seminudo e con evidenti segni di tortura, viene ritrovato il 3 febbraio lungo la superstrada che collega il Cairo con Giza.  Su quello che accadde tra la sera del 25 gennaio e il 3 febbraio ci sono solo sospetti.

Le indagini condotte dalle autorità egiziane hanno prodotto quello che la procura di Roma ha definito “una lunga sequenza di tentativi di depistaggio”. La procura egiziana disse in un primo momento che Regeni era morto in un incidente stradale. La tesi fu smentita quando venne eseguita l’autopsia in Italia: Regeni era morto per lo spezzamento del collo, dopo essere stato sottoposto a numerose torture. I suoi denti erano stati spezzati, le sue mani fratturate.

Solamente mesi dopo l’inizio delle indagini i Pm egiziani ammetteranno per la prima volta che il ricercatore era stato effettivamente controllato e indagato dalla polizia. Controlli che però non avevano fatto emergere alcuna prova contro il giovane.

Agli investigatori italiani viene concesso di interrogare alcuni testimoni solo per pochi minuti, dopo che gli stessi erano già stati interrogati per ore dalla polizia egiziana. Inoltre si scopre che le riprese video delle telecamere installate nella stazione della metro dove Giulio è scomparso sono state richieste troppo tardi e quindi sono state ormai cancellate.

Il braccio di ferro tra Italia e Egitto continua e l’8 aprile del 2016 Roma richiama il proprio ambasciatore al Cairo, lamentando la scarsa collaborazione egiziana nelle indagini. Una decisione che viene poi revocata il 15 agosto del 2017, quando l’Italia nomina un nuovo ambasciatore in Egitto, Giampaolo Cantini.

Dieci giorni fa il procuratore di Roma Giuseppe Pignatone ha parlato dell’attuale stato delle indagini, ribadendo che la situazione è sostanzialmente ancora bloccata. All’inizio di dicembre la procura di Roma aveva iscritto nel registro degli indagati cinque persone: ufficiali appartenenti al dipartimento di Sicurezza nazionale (i servizi segreti civili egiziani) e all’ufficio dell’investigazione giudiziaria del Cairo (la polizia investigativa egiziana). Ma oltre questo risultato i Pm non possono andare: spetta infatti alla diplomazia e alla politica chiedere alla procura del Cairo di perseguire in patria gli assassini di Giulio.  Poco è cambiato, dunque: l’impegno della procura di Roma è bloccato dalla non collaborazione dell’Egitto.

 A tre anni dall’omicidio la morte di Giulio Regeni è ancora avvolta nel mistero.

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