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Alici ‘mbuttunate e ciambotta: spigolando in giro per Sapri

Era già nota ai tempi di Greci e Romani, come testimonia la zona archeologica di Santa Croce, dove un robusto muro si protende nel mare per alcune decine di metri, appena affiorando sul pelo d’acqua.

Era forse un molo o piuttosto, un frangionde eretto a difesa di una villa, a cui sembrano potersi ricondurre anche le cosiddette “cammarelle”, a ridosso del muro in riva al mare, con la faccia ad oriente. Cinque anfratti in muratura coperti da volte, impropriamente interpretati come magazzini e molto probabilmente identificabili con strutture di contenimento del terreno e di sostegno per piani soprastanti, come proverebbe anche la presenza di pavimenti a mattoni. Queste rovine ed in modo particolare le terme e il teatro, sono indizio che Sapri dovette costituire, all’epoca del dominio di Roma, un centro assai considerevole.

Ma è grazie alla poesia di Luigi Mercantini, uno dei maggiori poeti risorgimentali, che Sapri godrà di notorietà internazionale: con la sua  “La Spigolatrice di Sapri”, infatti, Mercantini espose in versi la spedizione di Carlo Pisacane del 1857.

Oggi è un rinomato centro turistico, grazie alle preziose testimonianze storico-architettoniche, ai santuari cristiani e pagani, alle sorgenti naturali e i boschi dalla natura fiera e intatta. Il paesaggio naturale e le tradizioni popolari e gastronomiche caratterizzano l’unicità di quest’angolo del Cilento, dove storia e leggenda sembrano potersi incontrare.

Una di queste, racconta di quando, nei secoli passati mercanti e viandanti si spostavano fra Sapri e Maratea lungo il sentiero “apprezzami l’asino”. Un’antica tradizione orale narra che il sentiero fosse così stretto da non consentire il transito contemporaneo a più un animale da soma, perciò, quando due asini si incrociavano, uno doveva necessariamente lasciare strada all’altro. I proprietari provvedevano quindi a una rapida stima degli animali e del carico, e quello di minor valore veniva brutalmente precipitato in mare. Il padrone dell’asino sacrificato riceveva infine un indennizzo in denaro, pari alla metà della somma stimata.

Il piatto tipico per antonomasia di questo angolo del Cilento è sicuramente le “alici ‘mbuttunate”, cioè alici ripiene di un impasto di uova, pane raffermo, aglio e prezzemolo, ma soprattutto formaggio, rigorosamente di pecora, ma mescolato con  grattugiato di vaccino, per addolcirlo un po’. Le origini di questo piatto sono molto antiche, e parlano di un tempo in cui nelle terre di collina, a ridosso della montagna, periodicamente qualcuno che veniva dai villaggi sul mare, volesse portare un po’ di pesce a chi il mare lo poteva ammirare soltanto da lontano. Fu così che il cibo della terra si mescolava a quello del mare, generando magiche combinazioni che nel tempo hanno mantenuto una straordinaria modernità.

Un altro piatto povero, ma gustosissimo, e tuttora molto ricercato dai numerosissimi turisti, è la “cianbotta”, un contorno che è più un piatto unico, considerato che è composto da un misto di melanzane, peperoni, patate e zucchine prima fritte, e poi condite con pomodorino fresco e abbondante basilico.

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