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Alla scoperta del Taurasi, il più pregiato degli Aglianici

Si perde nella notte dei tempi l’origine della tradizione della Macenata, la festa legata all’antico rituale della pigiatura dell’uva, quando i produttori di uva confinanti si ritrovavano intorno a una tinozza.

Al suono dell’organetto, cantavano, ballavano e si raccontavano storie, mentre si avvicendavano nel lavoro di pigiatura: del resto la vendemmia ha sempre rappresentato, per il mondo contadino, il coronamento di un durissimo anno di lavoro, ma anche un momento di sana aggregazione che coinvolge tutti, uomini e donne, vecchi e bambini, in un rituale antico e insieme magico. Il rito della vendemmia iniziava già una settimana prima del raccolto vero e proprio. Si cominciava mettendo da parte cesti, panieri, forbici e coltelli, si reclutavano gli asini e si faceva la conta di parenti e vicini disposti a dare una mano. Per il grande giorno si sceglieva sempre una giornata serena e soleggiata, in tarda mattinata, in modo che l’uva non fosse bagnata dalla rugiada.

Le donne, con il capo coperto da un fazzoletto annodato dietro la nuca, raccoglievano l’uva nei grembiuli, per poi riversarla in grandi cesti, e infine nei tini. Il raccolto si interrompeva solo per un veloce pranzo frugale: pane casereccio, peperoni arrostiti, soppressata, formaggio e tante brocche di terracotta colme di vino.

A Paternopoli questa antica tradizione si rinnova ogni anno, trasformandosi in un evento folkloristico legato alle usanze della civiltà contadina e soprattutto alla produzione dei vini, con il “cuore” della manifestazione rappresentato dal suggestivo rito della pigiatura che anima le serate.

Ma tutta la giornata è un susseguirsi di iniziative che spaziano da convegni dedicati al vino, sino a  a deliziosi aperitivi a tema e degustazioni di nettari locali, protagonisti incontrastati della manifestazione, con visite guidate alle cantine.

Stand gastronomici con prodotti tipici, dalla pasta fresca condita con ragù rigorosamente con la cotica, alla sfrittuliata di maiale con peperoni e patate, riempiono di odori e profumi le stradine di Paternopopoli che, insieme a Montefalcione, Luogosano, Lapio e, naturalmente, Taurasi, e altri 12 Comuni della provincia, fanno parte dell’area di produzione disciplinata per la produzione del vino Taurasi (DOCG dal 1993).

Testimonianze storico-letterarie sulla presenza di questo vitigno si trovano già nelle opere di Orazio, che cantò le qualità della sua terra e del suo ottimo vino.

Nel 1898 lo Strafforello scrive: “Nelle buone annate il vino è assai copioso e molto se ne esporta nelle province limitrofe … principalmente coi nomi di vino “Tauraso” ed altri. Il migliore si raccoglie nei Comuni di Taurasi …”.

L’Aglianico di Taurasi DOCG, dal caratteristico colore rubino intenso, matura tardi, è intenso e brusco in principio, difficile da coltivare e da vinificare. La sua vinificazione, infatti, deve comprendere un periodo di invecchiamento di almeno tre anni, di cui almeno uno in botti di legno. È perfetto in abbinamento a carni rosse, arrosti, brasati, pollame, selvaggina e formaggi stagionati.

E chiudiamo con una curiosità: se vi siete mai chiesti perché le bottiglie di vino più diffuse sono da 0,75 cl, i motivi sono due. Il primo è fisico: sembra, infatti, che la capacità polmonare degli antichi soffiatori di vetro permettesse loro di creare, con un unico soffio, bottiglie di tale massima capacità. Il secondo invece è squisitamente burocratico: nel mondo anglosassone, a causa di tasse portuali e costi di trasporto, una cassa da 12 bottiglie di vino poteva contenere al massimo 2 galloni. Considerato che 9 galloni equivalgono a 9 litri, dividendoli per 12, il risultato è esattamente 0,75.

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