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Concorsi, il voto di laurea non serve

La deputata del M5S Maria Pallini ha depositato una proposta di legge che prevede il divieto di inserire il requisito del voto di laurea nei concorsi pubblici.

Dell’abolizione del valore legale della laurea la Lega parla sin dai tempi in cui il leader era Umberto Bossi. Anche per il Movimento 5 Stelle la linea è stata indicata con chiarezza da Beppe Grillo prima e dalla deputata Pallini poi.

Il 31 luglio, a governo giallo-verde già in carica, la deputata pentastellata Maria Pallini ha infatti depositato una proposta di legge che prevede «il divieto di inserire il requisito del voto di laurea nei bandi dei concorsi pubblici».

Il ddl ha fra i primi sostenitori il sottosegretario agli Interni Carlo Sibilia, che ne aveva presentato uno simile nella passata legislatura. Ma non si tratta di una prerogativa esclusivamente grillina: sebbene non ci sia traccia di questo tema nel “contratto di governo” quella dell’equiparazione dei titoli universitari, senza tenere conto del voto finale, è una battaglia che la Lega porta avanti fin dalle origini ed è probabile che la sosterrà ora che si trova al Governo.

 Secondo il Movimento 5 stelle, il paese necessita di una riforma che permetta ai giovani di accedere ai concorsi pubblici “senza nessuna discriminazione”. “In un momento storico così cruciale per l’occupazione – sostiene Sibilia -, specialmente giovanile, si ritiene indispensabile concedere a tutti i cittadini aventi diritto per legge di partecipare ai concorsi pubblici senza inserire nei bandi di concorso la limitazione del voto di laurea che oggi, in alcuni di essi, risulta determinante ai fini della partecipazione ma non necessariamente garantisce un’effettiva preparazione e conoscenza”.

Se la proposta dovesse quindi andare in porto, le selezioni bandite dallo Stato non prevederanno più corsie preferenziali per i laureati in discipline specifiche o per chi ha concluso gli studi universitari con il massimo dei voti.

Nella sua proposta di legge, sovrapponibile a quella presentata in un questa legislatura, Sibilia spiega anche che l’obiettivo non è «modificare o in alcun modo ledere il principio di meritocrazia» né quello di consentire «l’accesso nella pubblica amministrazione a personale inadeguato e carente di competenze, ma semplicemente rispecchiare in pieno i princìpi costituzionali di uguaglianza e di libertà». Insomma, per i pentastellati «la previsione del requisito minimo del voto di laurea in bandi di concorso pubblico deve essere vietata perché tale limitazione tende ad escludere a priori e senza alcuna reale motivazione una parte degli aventi diritto».

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