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DDA di Napoli, Soviero: “non si nasce camorristi. E’ possibile un riscatto sociale”

Francesco Soviero, magistrato napoletano dalla solida esperienza professionale, maturata prima a Trapani poi a Nola,  approda qualche anno fa alla Direzione Distrettuale Antimafia della Procura di Napoli. 

La passione per la magistratura nasce per caso, all’indomani della laurea. Padre avvocato e con la volontà di fare qualcosa di utile anche per gli altri. Lavoro di responsabilità e sacrificio, cercando di equilibrare le esigenze professionali con quelle personali. 

Quali sono le problematiche sociali della città di Napoli?

“Napoli è una città molto bella ma anche molto difficile. Esistono tantissime  persone oneste, ma ci sono comunque un forte disagio sociale e un senso di illegalità diffusa. Episodi di corruzione e mal costume. A Napoli c’è una sorta di commistione tra società civile e criminalità organizzata; la zona grigia esiste davvero”.

È cambiato il modus operandi della criminalità organizzata nel corso degli anni?

“Non possiamo pensare al mafioso come quello con la coppola e la lupara. Oggi indossa il doppio petto ed entra  direttamente nell’economia legale e nella pubblica amministrazione. La criminalità investe anche all’estero. Sviluppo locale, investimento internazionale. Oggi si spara ancora molto, soprattutto per il controllo delle piazze di spaccio. Esistono quartieri che sono i supermarket della droga come Scampia, il Parco Verde, Boscoreale etc, dove il principale datore di lavoro è la camorra”. 

Il figlio di un boss può scegliere una strada diversa?

“I modelli di riferimento sono importanti ma non si nasce camorristi. E’ possibile che i figli scelgano altre strada anche grazie ai consigli degli stessi genitori che cercano di allontanarli da questo mondo senza via d’uscita. E’ possibile sicuramente un riscatto sociale”.

I boss dal carcere hanno potere decisionale?

“Negli anni passati è stato anche luogo di reclutamento e organizzazione di nuovi innesti criminali, si faceva proselitismo e si davano ordini per l’esterno. Oggi lo Stato ha cercato di reagire con  il carcere duro per cercare di spezzare il legame tra il detenuto e l’ambiente esterno”.

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