ARTEFumettiHOME

Intervista all’illustratore e blogger Stefano Santoro, da Alibidicarta ai più noti personaggi dei fumetti

Definire Stefano Santoro un fumettista è, forse, riduttivo, come lo è qualsiasi processo che voglia ingabbiare una persona e la sua multiforme complessità in una categoria. Un’ansia definitoria che, ahimè, finisce per tentarci perché gli spazi aperti possono far paura. 

Stefano è un creativo e si muove tra immagini e parole, ostinatamente controcorrente, caparbiamente desideroso di essere e di esprimere se stesso.
Nel suo blog, Albidicarta, le parole e le immagini si passano il testimone per raccontare di un talento tenace che se non coltivato rischia di inaridire. Ed allora via libera al sudore, alla fatica, per studiare, per definire il tratto, per essere sempre un passo avanti, all’avanguardia, con lo sguardo ed una matita nel futuro,  impegnato a tratteggiare nuovi orizzonti possibili.
È lui che ci aiuta a “sentire” che dietro lo sguardo e le movenze di un personaggio, per dare continuità e corpo alla sua vita ed alla sua storia, lavora alacremente un team di professionisti. Che il percorso di un creativo non può che iniziare da quell’urgenza di raccontare per immagini ciò che vede intorno a sé, riscattando la quotidianità e riuscendo a soffiare via la banalità, come si fa con i residui della gomma per cancellare.
I suoi non sono personaggi monolitici, positivi tout court ed eticamente incorruttibili, bensì fatti di luci ed ombre, quasi eroi per caso, che si muovono tra fragilità, vizi e demoni, esterni ed interiori. 
Sono, spesso, ultimi al fianco degli ultimi. Veri e propri antieroi, che cadono nel fango e troppo spesso si schierano dalla parte sbagliata, lasciando che l’ombra fagociti la luce. 
Se Dylan Dog, infatti, convive con i suoi fallimenti, con perdite e fratture insanabili, e ritrova fuori i mostri che ha dentro e che popolano la società sotto forma di ferocia, indifferenza al dolore altrui ed egoismo; Diabolik sceglie di essere dalla parte dei cattivi, dei furbi, di quelli senza scrupoli. Ma, quasi suo malgrado, di fronte a persone più oscure di lui, talvolta si trova a lottare dalla parte dei più deboli, disvelando la sua umanità. 
Ora lasciamo la parola a Stefano e lo spazio aperto alla sua creatività…

  1. STEFANO SANTORO, ILLUSTRATORE E BLOGGER, TRA IMMAGINI E PAROLE. CI DESCRIVI LE TUE VARIE ANIME ACCUMUNATE DALLA CREATIVITÀ?
    Pochi mi conoscono come fumettista… e di quei pochi, pochissimi sanno che ho un blog dove, oltre a mostrare disegni e illustrazioni, scrivo anche delle riflessioni personali. Quindi, grazie per il “blogger”. Tornando alla tua domanda: non ci sono tante anime diverse, ce n’è una sola che si esprime in diversi modi; la scrittura è uno di questi.
    La creatività è presente in tutti noi (in misura differente, è ovvio…). Quello che fa davvero la differenza è la volontà di tirare fuori qualcosa da sé stessi, e lo sforzo di farlo usando una tecnica e una logica che costano fatica imparare e soprattutto mettere in pratica.
  2. QUAL È IL PERCORSO UMANO E FORMATIVO DI STEFANO?
    Sono figlio di un’epoca dove tutto sembrava possibile, bastava volerlo e impegnarsi per ottenerlo. O almeno, questa era la mentalità diffusa in ciò che era la classe media durante buona parte degli anni ottanta.  Ero affascinato dalla narrativa dei cartoni animati, dei fumetti, dei videogiochi e dei film. Già da piccolissimo capivo che dietro quelle grandi opere c’erano le mani di uno o più autori, e pensavo che anch’io avrei voluto farne parte, dare il mio contributo. Spesso stavo in campagna dai nonni, e mi perdevo nelle mie fantasie camminando fra prati e boschi… poi tornavo a casa e disegnavo su qualsiasi cosa mi capitasse sotto mano. Avrò riempito dozzine di agende e quaderni con i miei disegni fatti a penna senza alcuna tecnica, e scritto fiumi di testi che adesso non ricordo neanche più. Inoltre, cosa molto importante per me, volevo fare un lavoro che dipendesse esclusivamente dalle mie capacità, senza raccomandazioni, senza dover dire grazie a nessuno, senza l’aiuto dei parenti. E, nella mia ingenuità di bambino, pensavo che se non avevi determinate capacità e competenze, non potevi fare un determinato tipo di lavoro. Ero un giovane idealista, perdonatemi!
    Il punto era sviluppare capacità e competenze per poi mettersi in contatto col mondo del lavoro. Ai miei tempi non c’era internet e non si sapeva bene quale percorso formativo fare per lavorare nel settore creativo che mi interessava. I vari licei artistici, Accademie di Belle Arti o strane facoltà universitarie ad indirizzo umanistico-artistico non erano (e non sono) assolutamente in grado di assolvere questo compito, quindi optai per la Scuola Internazionale di Comics, che mi permise, seppur per un breve periodo, di lavorare in uno studio di animazione a Roma. Ci occupavamo della realizzazione di una serie di cartoni animati per la Rai: “The adventures of Hocus and Pocus” . Nel frattempo, inviavo dozzine di tavole di prova l’anno a case editrici italiane come Sergio Bonelli Editore e Star Comics, nella speranza di poter diventare un disegnatore di fumetti professionista. Dopo numerosi tentativi, Ade Capone mi notò e mi fece esordire, nel lontano 2004, come disegnatore di Lazarus Ledd. Ero un disegnatore ancora acerbo e i consigli (e le sgridate) di Ade, che era un creativo, un intellettuale, ma anche un vero duro, mi fecero crescere molto professionalmente e caratterialmente. Oggi mi spiace, dopo le competenze che ho acquisito successivamente con l’esperienza, di non poter lavorare ancora con lui. Su molte cose eravamo in sintonia e mi lasciava una certa libertà espressiva. Grazie a questa esperienza (e ad altre tavole di prova) sono potuto “approdare” in Bonelli (Nathan Never) prima e su Astorina (Diabolik) poi. Ci tengo a sottolineare che ho sempre lavorato e studiato: mentre lavoravo su una cosa ne studiavo anche un’altra, nella speranza di essere formato a 360° gradi; di avere delle capacità spendibili non solo nei settori di mio interesse.  Quando mi è capitato di lavorare in fabbrica, in un call center, come manovale, come grafico o nel volantinaggio, non ho mai perso di vista le mie aspirazioni.
  3. IL MONDO DELLE TUE ILLUSTRAZIONI. QUALI PERSONAGGI LO POPOLANO E CON QUALE RUOLO?
    Nel mondo delle mie illustrazioni sono libero di fare ciò che voglio, quindi le popolo di personaggi di tutti i tipi. Alcuni li invento, altri appartengono ad altri mondi, generalmente li attingo da cartoni animati o videogiochi. Nelle mie illustrazioni ho una certa predilezione per il fantasy e, talvolta, per uno stile cartoon un po’ influenzato dai manga. Quando ho un po’ di tempo li coloro… rigorosamente in digitale.
  4. SEI LA NUOVA ANIMA DI DIABOLIK E DYLAN DOG. COSA LI RENDE SIMILI E COSA DISSIMILI? 
    Diabolik e Dylan sono due icone del fumetto italiano e hanno in comune l’aver introdotto, ciascuno a modo suo, delle tematiche “oscure” e controverse, spesso in controtendenza rispetto all’epoca in cui sono stati creati. Direi che le analogie più evidenti sono queste. Per il resto sono testate e personaggi piuttosto dissimili, sia come impianto delle storie, sia come caratterizzazione psicologica.
    Diabolik è un genio della rapina, freddo e determinato, che non esita ad uccidere pur di raggiungere i suoi scopi. Non accetta il “sistema”, ed esprime il suo dissenso attraverso il furto di enormi somme di denaro o gioielli. Nonostante questo, ha un certo codice morale: spesso attacca grandi mafiosi e narcotrafficanti;  non infierisce sui più deboli e talvolta li difende da strozzini, truffatori e aguzzini vari. Inoltre, rispetta sempre la parola data e il suo più acerrimo nemico: l’ispettore Ginko. Lontano dal furto, dentro casa o all’interno di uno dei suoi tanti rifugi, Diabolik vive insieme alla sua inseparabile Eva un idillio amoroso inossidabile ed una dimensione quasi “borghese” della quotidianità, che non ci si aspetterebbe da un personaggio come lui. Dylan invece è un personaggio decisamente meno “monolitico”. Ex agente di Scotland Yard, detective privato specializzato in casi “insoliti” (che spesso sfociano nel soprannaturale), è un uomo con un’interiorità problematica. Ex alcolista, sensibile, empatico, pieno di dubbi e fobie, appassionato di musica, con un rapporto problematico persino con la modernità e la tecnologia, perennemente innamorato di qualcuna… Questo è (o almeno, è stato) il Dylan “classico”, cioè Dylan Dog fino ad un certo punto del suo arco narrativo.  Le sue storie, talvolta a cavallo fra sogno e realtà, sono spesso un pretesto per indagare il dolore esistenziale dei deboli, dei reietti, dei perdenti, delle persone ai margini di un mondo disumano interessato esclusivamente all’apparenza e ai soldi. In questo tipo di rappresentazione del mondo, la morte, i mostri e il soprannaturale in generale, sono quasi sempre nient’altro che metafore dei grandi mali e delle paure ancestrali dell’uomo.
  5. RISPETTO ALLE STRISCE TRADIZIONALI RIMANE CONTINUITÀ NEL TUO TRATTO? IN COSA SI  DIFFERENZIA?
    Se ti riferisci allo stile di disegno che ho usato per Dylan e Diabolik, posso solo dirti che con il passare degli anni tendo sempre ad una maggiore pulizia e sintesi del tratto. Con Diabolik, in linea con lo stile generale della collana, sono ancora più sintetico, quasi impersonale, anche perché devo tener conto che i disegni saranno poi retinati e perciò non devo usare particolari effetti “pittorici” per dare l’illusione della profondità.
  6. SE POTESSI RAPPRESENTARTI ED AUTORAPPRESENTARTI ATTRAVERSO UN PERSONAGGIO, QUALE SCEGLIERESTI?
    Ogni personaggio è un po’ il riflesso del suo autore. Io, avendo sempre lavorato su materiale e idee di altri, ho apprezzato molti personaggi (Lazarus Ledd e Nathan Never su tutti), ma non posso dire di identificarmi in loro, se per “identificazione” intendi che quel personaggio ti somiglia in maniera particolare. Quando li disegno, cerco solo di capire il loro stato d’animo nel momento in cui li sto disegnando, con una postura, gestualità e mimica facciale coerente con la sceneggiatura e il background psicologico del personaggio stesso. Il mio lavoro finora è stato simile a quello di un attore che però non si limita a dare vita ad un personaggio solo, ma ad una moltitudine di personaggi contemporaneamente e a tutta la scena, sfondi compresi. Quindi, se potessi scegliere, sceglierei un personaggio mio, che nasce da una mia idea in una storia che scrivo e dirigo io. Chissà, forse un giorno…        

Intervista a cura di Tania Sabatino

 

Share This:

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Cultura a Colori