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Intervista a Claudio Bozzaotra in mostra al Summarte

Come tutti gli anni, al Teatro Summarte ha riaperto la nuova stagione 2017/2018. Ma il Summarte non è solo un teatro, si presta anche come cornice elegante di un caffè letterario e di gallerie d’arte. Le mostre sono curate dall’artista Diana Ambrosio, mentre le presentazioni di libri dalla testata giornalistica nazionale “Cultura A Colori” in collaborazione con la casa editrice Alessandro Polidoro. Quest’anno tra gli artisti che hanno preso parte all’esposizione, c’è stato anche Claudio Bozzaotra. Nato a Napoli, vive e lavora a Marigliano. Architetto, è stato docente di Progettazione architettonica presso la Facoltà di Architettura di Napoli, ma da sempre porta avanti la sua carriera di artista, prendendo parte a diverse mostre ed esposizioni. Di seguito l’intervista che ci ha concesso.

– Come si sviluppa il connubio tra le sue due passioni, architettura e arte? Quanto degli studi di architettura è confluito nella sua formazione pittorica e viceversa?

Sin da piccolo ho avuto forte la passione per l’arte, forse perché mio padre, avendo un’attività in proprio di ceramista, praticava nella pittura e nella scultura, anche se con piglio più da artigiano che da artista. Una passione che ha caratterizzato i miei studi in architettura, ma nel senso che nell’architettura ho ricercato la possibilità di un coinvolgimento, anche perché avrei voluto frequentare l’Accademia di Belle Arti, cosa che mi è stato impedito. Il riscatto è stato, appunto, impostare gli studi su quella ricerca, cosa che è poi sfociato in una tesi di Dottorato di ricerca e quindi una pubblicazione, “La dimensione dell’immaginazione” edita da Hevelius di Benevento nel 2000. Pur tenendo distaccati i mondi nelle due diverse mie attività professionali, devo dire comunque che un certo “ordine” architettonico è possibile intravederlo.

– Quali sono le opere portate in mostra al Summarte? E quali motivazioni la hanno spinta a selezionarle per questa mostra?

Le otto opere che ho in mostra al Summarte attraversano un periodo che va dal 2009 (La vita scolastica) al 2017 con l’istallazione Dream Boxe, ancora Lo scioglimento dell’anima, 2012, Non sarà il canto delle sirene ad addormentarci il cuore, 2012, Annunciazione, 2013, Palingenesi, 2013 e Stato d’animo, 2015. Scelte perché, a mio parere, congeniali al titolo, Delirious, che ho scelto per la mostra.

– Cosa significa  per lei dipingere? Si tratta di un monologo interiore su tela o è più un dialogo con il fruitore dell’opera? E in tal caso cosa vuole comunicare?

Secondo il mio intento sacro e profano, in quello studio, non entrano mai in contraddizione; dove le percezioni riescono a combinarsi diversamente e costruire con esse altre immagini… in un mondo senza memoria, senza tempo, con la possibilità di un linguaggio che ignorasse i sostantivi, un linguaggio di verbi impersonali o indeclinabili epiteti con cui l’arte possa ritrovare la sua sacralità. Forse un monologo interiore ma capace di creare un dialogo, se non con il fruitore, almeno con il fruitore stesso.

– È stato finalista per il premio Comel 2015. Come descriverebbe questa esperienza e quali emozioni o insegnamenti le ha lasciato?

Onestamente non mi ha mai interessato partecipare ai premi, ma quello Comel aveva la particolarità dell’utilizzo necessariamente dell’alluminio, e quindi mi ha intrigato questo tipo di sfida.

– A quali modelli si è ispirato per la sua produzione artistica?

Beh un modello è difficile individuarlo… è la summa di un bagaglio di conoscenze e culturale sedimentato nel tempo.

– Che consiglio darebbe a giovani aspiranti pittori e artisti in genere?

L’unico consiglio da dare è quello di perseguire le proprie passioni caparbiamente… e se si esprime attraverso la pittura, perché non farlo.

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