HOMETEATRO

L’arte do’ pazz: in scena al Piccolo Bellini la grandezza e la crisi di Gemito

Vincenzo Gemito è un artista di grande sensibilità e talento, la cui arte è figlia del dolore e del tormento. Abbandonato sulla ruota degli esposti questa ferita primigenia ne segna l’intensa vicenda umana e artistica.

“Io non credo – sottolinea Antimo Casertano, che cura testo e regia – che le migliori produzioni artistiche nascano dalla follia. Anzi ritengo che la follia abbia creato un sostanziale stallo nella produzione artistica del pittore. La produzione qualitativamente superiore è figlia, infatti, dei momenti di maggiore stabilità e serenità emotiva e relazionale. Merito anche di sua moglie Nannina che gli fu accanto e lo sostenne: dietro un grande uomo c’è sempre una grande donna”.

Indubbiamente, secondo quanto ribadisce l’autore e attore, l’uomo e l’artista Gemito è figlio del tormento, di quella spinta a non fermarsi, a ricercare  e a raggiungere la perfezione delle forme.

“Ognuno – ribadisce Casertano – ha la facoltà di scegliere. Non tutti hanno la grandezza di Gemito, ma tutti possono autodeterminarsi”.

Il viaggio proposto al Piccolo Bellini fino a domenica 1 maggio con L’arte do’ pazz, e prima ancora al Civico 14 di Caserta, vuole indagare la materia che muove l’uomo Vincenzo dietro l’artista Gemito e ne impasta insieme respiri, dolori, dubbi e istanze, che poi rifluiscono nella sua esperienza umana e artistica. Un uomo che non si mosse alla ricerca di notorietà e riconoscimenti, ma piuttosto per esprimere se stesso fino in fondo. In questo senso, raccontare la crisi appare più interessante che focalizzarsi sul successo.

 “Il nostro intento – continua Casertano – è sottolineare il ruolo generativo dell’errore. Più si è liberi, più si osa più si rischia di cadere in errore. Ma sbagliare ci permette di metterci alla prova, assumere consapevolezza e crescere”.

In tal senso il ruolo di Gemito si affranca dalla vicenda specifica, divenendo emblema di una più ampia condizione umana, costellata di fragilità, in cui troppo spesso non ci si perdona proprio gli intrinseci limiti. La paura dell’omologazione, della mediocrità. Il dialogo con i propri demoni.

 “Il teatro – evidenzia l’autore – in questo senso non fornisce spiegazioni né risposte definitive, ma, al contrario instilla il seme del dubbio e spinge a porsi domande. Diviene potente motore di riflessione”.

La dimensione territoriale di Gemito, secondo le parole di Casertano, si potrebbe definire glocal, a metà tra valorizzazione locale e respiro globale.”

Gemito fu legato al territorio in maniera viscerale. Della sua terra era innamorato. Ne amava odori, sapori, colori. – spiega Antimo -. Fu artista popolare nel senso più aulico del termine. Amava usare come modelli ragazzi provenienti dal popolo e donne tipicamente mediterranee nelle fattezze o uomini e artisti campani. Ma le sue opere conquistarono anche altri luoghi, per esempio la Francia e l’America e orizzonti più ampi, in maniera trasversale. Di lui, a livello artistico e umano, c’è ancora tantissimo da scoprire e da raccontare”. 

Tra i prossimi impegni di Antimo Casertano e Daniela Ioia c’è anche il progetto di Compagnia (Compagnia Teatro Insania) nella terza edizione di Racconti per ricominciare, realizzato da Vesuvio Teatro ed Ente Teatro Cronaca, con la direzione artistica di Claudio di Palma e Giulio Baffi.

Si terrà dal 25 maggio al 6 giugno con due monologhi a firma dello stesso Casertano, dal titolo Innocenti confessioni. Location d’eccezione Villa Signorini. Racconti di due personaggi non proprio noti, Michele Marino, il cantiniere divenuto generale nella rivoluzione napoletana del 1799 e Angelina Romano, una ragazzina siciliana di nove anni, barbaramente uccisa, con l’accusa di brigantaggio dall’esercito piemontese nel gennaio del 1862.

Un ulteriore modo per aprire le quinte del teatro sulla storia. Un grimaldello di profonda riflessione.

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