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L’INTELLIGENZA ARTIFICIALE E LA LEGGE. L’arte del giudicare tra algoritmo ed etica professionale

Come rivoluzionare il modo con cui l’uomo interagisce con le macchine? Forse sarà stata questa la prima domanda venuta in mente allo scrittore Karel Čapek che inventò, insieme al fratello Josef, scrittore e pittore cubista, il termine “robot”, da “robota”, che in ceco significa lavoro pesante o lavoro forzato. “I robot universali di Rossum fu il titolo che diede Capek al suo dramma teatrale per raccontare la figura dell’operaio artificiale. Dall’immaginazione di una mente artistica alla realtà, da sempre l’uomo ha ricercato l’idea di costruire delle intelligenze artificiali che assomigliassero all’essere umano.

Il primo progetto documentato di un androide è firmato da Leonardo da Vinci, ma il primo prototipo funzionante è datato 1738, quando Jacques de Vaucanson fabbricò un automa capace di suonare il flauto.

Da allora la scienza si è evoluta e con lei le risposte che si cercano di dare alle domande che ogni giorno ci poniamo in nome del miglioramento tecnologico. Sono cambiate le possibilità e i metodi che ci hanno portato all’Intelligenza Artificiale così come la conosciamo nell’era moderna. Oggi l’ “Artificial Intelligence”(AI) è l’abilità di un sistema di risolvere problemi e/o svolgere attività tipiche della mente. E’ chiaro che nel prossimo futuro assumerà un ruolo ancor più centrale nelle dinamiche economiche, sociali, finanziarie e politiche. Perciò, mentre il mondo diventa sempre più “Smart” e connesso – complice la pandemia da Covid-19 e il “Lockdown” forzato – anche la legge si rende protagonista di questo grande processo di digitalizzazione.

L’era della giustizia predittiva è governata da un algoritmo capace di analizzare, su base statistica, la frequenza con cui in pregresse posizioni di testi scritti, compaiono determinate parole o sequenze di termini. Una nuova e brillangte tecnologia già ampiamente utilizzata in Europa che in Italia, ad esempio, ha raggiunto la Corte di Cassazione.
Il progetto di ricerca su sistemi di Intelligenza Artificiale che lavorino su giurisprudenza e legislazione è, infatti, lo scopo cardine dell’accordo siglato tra il CED della Corte di Cassazione e la Scuola universitaria superiore di Pavia (IUSS). La collaborazione punta alla
valorizzazione del patrimonio conoscitivo rappresentato dal corpus giurisprudenziale e normativo” in possesso della Cassazione. Attraverso la tecnologia di “legal analytics”, in particolare “Natural Language processing”, “machine learning” e “data science”, si effettuano previsioni su orientamenti giurisprudenziali e legislativi. Al momento non disponiamo ancora dei risultati raggiunti dopo tale utilizzo, ma c’è una ragionevole preoccupazione comune che si sta manifestando tra gli operatori del settore, ossia ledere alla cosiddetta arte del giudicare del giudice.

Il Parlamento europeo con la Carta etica del 2018 ci viene in aiuto e, in un ampio discorso legato al tema, ha posto dei limiti e delle condizioni per il ricorso all’Intelligenza Artificiale sia in ambito civile che milare. I principi etici e il regime di responsabilità pongono, in particolare, il divieto di “applicazioni altamente invasive di punteggio sociale” sul modello, dunque, del social credit system cinese. Si parla, inoltre, di una garanzia di sorveglianza umana, con possibilità di immediata disattivazione, sulle applicazioni ad alto rischio con la capacità di auto-apprendimento. Si tende a sottrarre l’uomo all’autoreferenzialità e al cieco determinismo dell’algoritmo. Significa che, nella giustizia predittiva, a un computer può essere demandata non la decisione finale sulla colpevolezza di un imputato o la quantificazione dell’eventuale pena da irrogare, ma la soluzione di specifiche questioni costituenti presupposto di tale decisione.

Per meglio sviscerare la questione della giustizia predittiva abbiamo interpellato un illustre docente, professore e coordinatore del corso di Diritto delle Innovazioni Tecnologiche A.I. alla Facoltà di Medicina e Chirurgia dell’Università Vita-Salute San Raffaele di Milano, l’Avv. Giovanni Pasceri, già responsabile del dipartimento di Intelligenza Artificiale del Movimento Forense.

«L’AI non potrà mai sostituirsi all’uomo, perchè un algoritmo non può ricostruire un fatto storico. Una macchina è incapace, ad esempio, di comprendere un paradosso, cosa che può risultare utile a un avvocato per dimostrare la propria tesi. – Spiega Pasceri – Se ci affidassimo nella totalità al sistema tecnologico, non consentiremmo al giudice di valutare correttamente caso per caso. Questo nuovo sistema di giustizia prende in considerazione una quantità molteplice di dati a differenza di quello che può fare la mente umana che ne seleziona e conserva una quantità limitata. L’uomo non ha la capacità di catalogare la stessa quantità di una macchina. La volontà che ci spinge all’impiego dell’Intelligenza Artificiale nella giustizia è puntare a una maggiore efficienza, ma mai alla sostituzione del giudice. Piuttosto, parliamo di accorciare i tempi della legge.»

Altra domanda a cui l’Avv. Pasceri ha risposto, è quella che lega l’Intelligenza Artificiale alla riforma universitaria: cambia e come lo studio del diritto?

«Non cambierà molto lo studio del diritto, che di per sé è legato alle dottrine essendo una scienza argomentativa, che non può essere racchiusa in un algoritmo. Quelle che cambieranno saranno le modalità di studio. Così come per l’avvocato, l’intelligenza artificiale non ne andrà a modificare la professionalità, bensì le modalità di ultizzo delle banche dati accorciando le tempistiche.»

Ad ascoltare il parere degli esperti, quindi, l’ipotesi di un giudice robot almeno per il momento è un’idea legata più alla fantascienza che alla realtà. Chi crede nell’affidabilità del giudizio della mente umana probabilmente si starà immaginando una minaccia scongiurata, tuttavia, nel profondo resta l’idea di un domani in cui la decisione di un processo penale potrà dipendere da una macchina. Nessuno ci vieta di supporre che dinanzi ad un ennesimo fallimento della razionalità e all’emergenza della complessità di una qualche vicenda, alla fine si giunga a scegliere volontariamente di sottoporsi al giudizio di un qualche computer, nella speranza di attuare il sogno di un mondo governato da una ragione calcolante, che nel complesso ci renda tutti se non uguali, più simili possibile.

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