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Minneapolis, in migliaia per commemorare Floyd

“Ho visto molti americani di razze ed età differenti marciare insieme e alzare la loro voce insieme, siamo ad un punto di svolta”, ha detto il reverendo newyorchese Al Sharpton, noto leader nella lotta per i diritti civili, alla commemorazione per la morte di George Floyd.

La cerimonia arriva all’indomani della svolta nelle indagini, con la procura che ha aggravato l’imputazione per l’ex agente Derek Chauvin da omicidio colposo a omicidio volontario e ordinato l’arresto dei suoi tre colleghi accusandoli di complicità. Come chiedevano la famiglia e i manifestanti che hanno infiammato l’America.

E che adesso, nonostante i 10 mila arresti eseguiti finora, continuano a scendere in piazza più pacificamente per chiedere riforme contro le iniquità razziali e gli abusi delle forze dell’ordine, mentre il Senato si appresta a votare l’abolizione della stretta al collo e la Virginia a rimuovere la statua del generale sudista Robert E. Lee. I quattro poliziotti devono comparire davanti al tribunale nelle prossime ore.

Dall’autopsia intanto è emerso che Floyd era positivo al coronavirus ma asintomatico: per crudele ironia della sorte, è sopravvissuto alla pandemia ma non è sfuggito alla brutalità della polizia.

Quello di oggi non è che il primo omaggio a Floyd, il “gigante buono” figlio del Sud. Domani il suo corpo sarà portato a Raeford, in North Carolina, dove è nato, per una camera ardente e una cerimonia privata per la famiglia. Cerimonia analoga lunedì in Texas a Houston, dove è cresciuto e ha vissuto gran parte della sua vita prima di trasferirsi cinque anni fa in Minnesota. Il giorno dopo infine è in programma nella stessa città un funerale con 500 persone. Seguirà una cerimonia di sepoltura privata.

A Houston ci sarà anche Joe Biden. La sua presenza striderà con l’assenza del presidente Donald Trump, blindato alla Casa Bianca, osteggiato dal capo del Pentagono Mark Esper sull’uso delle truppe contro i manifestanti e accusato duramente dall’ex segretario alla Difesa James Mattis in un intervento su The Atlantic. “Donald Trump è il primo presidente nella mia vita che non tenta di unire il popolo americano, neppure finge di tentare. Invece tenta di dividerci”, ha scritto l’ex generale evocando una leadership “immatura” e schierandosi con i manifestanti.

Mattis ha condannato l’uso dell’esercito contro le proteste, definendo “abuso di potere esecutivo” lo sgombero della folla davanti alla Casa Bianca per una “bizzarra photo-op” del commander in chief con la Bibbia. E ha invitato a “respingere e a richiamare alle loro responsabilità chi ha cariche pubbliche e deride la nostra costituzione”.

Trump ha reagito stizzito su Twitter: “Probabilmente l’unica cosa che io e Barack Obama abbiamo in comune è che entrambi abbiamo avuto l’onore di licenziare Jim Mattis, il generale più sopravvalutato del mondo”. In realtà Mattis è un ufficiale molto stimato, non solo nelle forze armate, e non è l’unico ex generale che critica la gestione delle proteste da parte del presidente.

Anche tutti i quattro ex presidenti, da Jimmy Carter a Barack Obama, hanno voltato le spalle al tycoon, denunciando il razzismo e schierandosi con i dimostranti. Ed oggi pure la senatrice Lisa Murkovski ha detto di condividere le parole di Mattis: “Penso che siano vere, oneste, necessarie e tardive”, ha osservato, lasciando intendere che potrebbe non sostenere la rielezione di Trump.

Intanto gli Stati Uniti hanno registrato ieri quasi 20 mila nuovi casi di coronavirus. Nell’ultima settimana 19 Stati su 50 hanno una media di nuovi contagi superiore a quella della settimana precedente. E le autorità hanno ammonito che le proteste di massa per la morte di Floyd potrebbero causare una pericolosissima seconda ondata del virus.

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