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Nella terra del Lacryma Christi, il vino dei Romani

Considerata la “cugina minore” dell’antica Pompeii, florida città residenziale dell’impero Romano e luogo di villeggiatura frequentatissimo dai ricchi patrizi, Herculaneum fu, secondo la leggenda fondata da Ercole.

Seppellita dalle ceneri e dai lapilli della stessa funesta eruzione del 79 d.C., è rimasta perfettamente conservata grazie alla coltre di fango e materiali piroclastici eruttati dal Vesuvio, alta dai dieci ai venticinque metri, con il passare degli anni si solidificò, formando un piano di roccia “tenera”, che per secoli protesse i resti della città, fino ad affievolirne, e poi a cancellarne del tutto il ricordo. Fino a quando nel 1709 un contadino, durante lo scavo di ampliamento di un pozzo per l’irrigazione del suo orto, si imbatté in alcuni pezzi di marmo pregiato. Come si comprese successivamente, lo scavo del pozzo aveva intersecato la scena del Teatro di Ercolano, erroneamente identificato all’inizio come il Tempio d’Ercole: ben presto si intuì che le rovine appartenevano all’antica città scomparsa nell’eruzione del Vesuvio.

Le indagini archeologiche vere e proprie cominciarono nel 1738, e poi, a singhiozzo nel corso dell’Ottocento, fino allo scavo sistematico promosso dall’archeologo e storico Amedeo Maiuri a partire dal 1927. Grazie alla rimozione di oltre 250.000 metri cubi di tufo, furono riportati alla luce circa quattro ettari dell’antica città: il parco archeologico visibile ancora oggi. Nel 1997, il sito di Ercolano, visitato in media ogni anno da più di 400mila visitatori, è entrato a far parte del Patrimonio dell’Umanità dell’UNESCO.

La maggior parte dei reperti rinvenuti durante le operazioni di scavo sono custoditi al MANN, il Museo Archeologico Nazionale di Napoli, mentre è del 2008 la nascita del MAV, Museo Archeologico Virtuale che, attraverso ricostruzioni scenografiche, interfacce visuali e ologrammi, conduce il visitatore in una dimensione virtuale in cui vivere l’emozione di un sorprendente viaggio nel tempo, fino a un attimo prima dell’eruzione del 79 d.C.

Un primato importante appartiene alle operazioni di raccolta e codifica dei reperti degli scavi di Ercolano: gli antichi testi della biblioteca della Villa dei Papiri di Herculaneum, forse appartenuta a Lucio Calpurnio Cesonino, suocero di Giulio Cesare, sono stati decifrati grazie ad una particolare tecnica ai raggi X, inventata da ricercatori italiani e francesi. Gli antichi rotoli di papiro, venuti alla luce durante gli scavi del 1752, sono infatti tanto preziosi, quanto fragili: tentare di srotolarli avrebbe praticamente significato distruggerli.

Le numerose eccellenze enogastronomiche della zona vesuviana erano note già agli antichi Romani: dalle albicocche della varietà “pellecchiella”, ai famosissimi pomodorini “del piennolo”, ai datterini gialli. Ma sono soprattutto le uve che crescono sulle pendici del vulcano, che già a quei tempi producevano vini di qualità eccelsa, forse perché, come tramanda Marziale “Bacco amò queste colline più delle native colline di Nisa”.

Sul nome del più noto fra tutti, il Lacryma Christi, esistono vari miti e leggende: “Gesù, riconoscendo nel Golfo di Napoli, un lembo di cielo strappato da Lucifero durante la caduta verso gl’inferi, pianse e laddove caddero le lacrime divine sorse la vite del Lacryma Christi”. Il pregiato vino veniva prodotto da monaci eremiti, il cui convento sorgeva sulle pendici del Vesuvio. Più tardi i Padri Gesuiti, padroni di vaste terre in quelle località, ne divennero i produttori esclusivi. DOC dal 1983, il Lacryma Christi viene prodotto nelle varianti bianco, rosso e rosato, perfette con tutte le pietanze di terra e di mare.

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