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Sport sotto shock, è morto Kobe Bryant

Erano le 19 di ieri quando, all’improvviso, sui social iniziano a girare stories e foto di Kobe Bryant. Come in un brutto sogno, da cui non vedi l’ora di svegliarti, ma poi realizzi che è tutto vero.
Sono le 19 di una domenica di fine gennaio quando le principali emittenti e agenzie di stampa americano iniziano a dar conferma di una voce, unanime. Kobe Bryant, il cestista che ha appassionato generazioni di ragazzi al basket, è morto.

Kobe era sul suo aereo privato, e insieme a lui sono decedute altre quattro persone, fra cui la piccola Gianna, la sua figlioletta di 13 anni.

Atleta, uomo assoluto e universale, opinionista, campione in campo e di portamento, Kobe parlava benissimo l’italiano ed ha mosso i primi passi e fatto i primi canestri qui, nel nostro paese. Una folla non solo di tifosi si è raccolta davanti allo «Staples Center» di Los Angeles, il palazzetto dei Lakers, la squadra in cui Bryant ha giocato per vent’anni. Prima lo choc, poi un’emozione corale stanno attraversando gli Stati Uniti e il resto del mondo.

Il trasporto che in massa dall’America all’Australia sta coinvolgendo il mondo, forse, è qualcosa che è accaduto solo con Mohammed Alì, morto nel 2016, dove il suo funerale, a Lousville, in Kentucky, è stato un evento travolgente, memorabile. Ma se Alì è ricordato maggiormente per quello che ha messo in campo sul ring, Kobe sarà ricordato anche e soprattutto per la sua persona, per l’impegno verso i più deboli e per aver dato lustro e avvicinato al basket un paio di generazioni.

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