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Strage alla stazione di Bologna, si indaga sulla scoperta di un interruttore della bomba

Fra le macerie ai Prati di Caprara, dove per anni sono rimasti i detriti della stazione di Bologna esplosa il 2 agosto 1980, potrebbe essere stato trovato l’interruttore della bomba che provocò 85 morti e 200 feriti.

Il nuovo particolare emerge dalla perizia disposta dalla Corte di assise nel processo a carico dell’ex Nar Gilberto Cavallini e depositata dal geominerario esplosivista Danilo Coppe e dal tenente colonnello Adolfo Gregori, del Ris di Roma. Con una levetta simile a quelle usate nell’industria automobilistica, “la sua deformità fa ritenere l’interruttore molto vicino all’esplosione“. In una sala d’attesa di una stazione ferroviaria, spiegano, “secondo chi scrive non aveva ragione di esserci“. L’interruttore viene citato nel capitolo della relazione in cui i periti scrivono che sicuramente “con l’esplosivo viaggiava almeno un detonatore”. Nel descriverlo, Coppe e Gregori lo identificano come “un prodotto di qualità molto bassa” e rilevano che “la levetta on/off pare essere di tipo comune. Non riporta alcuna scritta identificativa ed è simile ad alcune usate nell’industria automobilistica per attivare, ad esempio, luci o tergicristalli”, anche se “il fatto che sia montata su un supporto la rende meno ‘automobilistica’”.
Nella perizia si conferma, poi, che la bomba era costituita “essenzialmente da Tnt e T4 di sicura provenienza da scaricamento di ordigni bellici e da una quantità apprezzabile di cariche di lancio (che giustifica la presenza di nitroglicerina e degli stabilizzanti rinvenuti)”. Inoltre, “non si può escludere completamente la presenza di una percentuale di gelatinato a base di nitroglicerina”. La perizia parla di “congruenza” con queste dichiarazioni e che quindi potrebbe collegare l’esplosivo a quello utilizzato in quel periodo dal terrorismo di destra.

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