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Turchia: stampa sotto assedio, la lotta dall’esilio di Yavuz Baydar

Com’è avvenuta in Turchia la demolizione dei giornali? Non c’è persona forse più esperta nel rispondere a questa domanda, oggi, di Yavuz Baydar. Che lo farà domani, di persona, in dialogo al Teatro Brancaccio a Roma.

Giornalista da quarant’anni, Baydar è stato l’ombudsman, cioè il garante per i lettori, prima per Milliyet, dal 1999, e poi per Sabah. Quando quest’ultimo quotidiano, nel 2014, abbandonò la propria indipendenza per essere acquisito dal fratello del genero di Erdogan, e Baydar continuò a pubblicare commenti critici sullo stato del giornalismo e su come venivano fabbricate le notizie, fu costretto a dimettersi. Come columnist Baydar si faceva leggere, eccome, con analisi precise, senza guardare in faccia ai potenti, per il puro dovere di informare. Vive in esilio da quasi tre anni, prima in Italia e dopo in Francia. Giornalista di impronta anglosassone, studi di informatica e cibernetica all’Università di Stoccolma, con la Arab publishing house di Londra ha fondato il sito indipendente Ahval, di cui è direttore, sviluppato in inglese, turco e arabo. Naturalmente in Turchia Ahval è bloccato. Amico del premio Nobel per la Letteratura, Orhan Pamuk, tiene i contatti con una larga pattuglia di intellettuali, la maggior parte dei quali, come lui, si trova fuori dai confini patri. Nel 2014 Baydar ha pensato di raccogliere le centinaia di storie di giornalisti turchi licenziati e arrestati: «In prigione ci sono 176 giornalisti, 191 sono i media chiusi, i loro archivi informatici distrutti, migliaia di colleghi perbene licenziati e impossibilitati a trovare lavoro».

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