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Usa, confusione tra Tillerson e Trump sulla Corea del Nord

Ancora una volta Rex Tillerson e Donald Trump sembrano muoversi su binari paralleli. Il segretario americano di Stato ha aperto a trattative dirette con la Corea del Nord “senza precondizioni”, ma la Casa Bianca ha subito chiarito che la sua linea non è affatto cambiata.

“Siamo pronti per un primo incontro senza precondizioni”, ha detto ieri Tillerson parlando da Washington al think-tank Atlantic Council. “Incontriamoci. Possiamo parlare del tempo, se si vuole… Ma possiamo almeno sederci [allo stesso tavolo] e vedere la faccia l’uno dell’altro”. Il messaggio era rivolto al leader del regime nordcoreano Kim Jong Un, che nonostante il pressing internazionale esercitato attraverso sanzioni non sembra avere alcuna intenzione di fermare i suoi programmi missilistico e nucleare.

La Casa Bianca non ha aspettato molto per aggiustare il tiro. La portavoce Sarah Sanders ha diffuso una nota, spiegando che “la visione del presidente sulla Corea del Nord non è cambiata”. L’idea è che la nazione più isolata al mondo “sta agendo in modo non sicuro non solo nei confronti di Giappone, Cina e Corea del Sud ma anche del mondo intero. Le azioni della Corea del Nord non sono buone per nessuno e di certo non lo sono per la Corea del Nord”. Washington sta tornando a mettere sotto pressione Pechino – l’unico partner commerciale di Pyongyang – affinché smetta di fornire petrolio alla Corea del Nord. Una mossa simile infliggerebbe pene economiche notevoli a un regime già messo in difficoltà dalle sanzioni Onu. Su questo Trump e Tillerson sembrano pensarla allo stesso modo: “Il presidente vorrebbe vedere la Cina tagliare i rifornimenti petroliferi”.

L’idea? “L’ultima volta che i nordcoreani si sono seduti al tavolo dei negoziati c’è stata quando la Cina ha interrotto i rifornimenti. Tre giorni dopo i nordcoreani era al tavolo” delle trattative. HR McMaster, il consigliere di Trump per la sicurezza nazionale, ha ribadito il concetto: gli Usa vogliono una Cina che “riconosca che è arrivato il momento di fare di più oltre le risoluzioni esistenti del consiglio di sicurezza Onu”. La relazione tra Usa e Cina è tuttavia delicata.

A Pechino non è piaciuta la decisione di Washington, presa il 20 novembre scorso, di reintrodurre la Corea del Nord nell’elenco dei Paesi sponsor del terrorismo. Pyongyang era stata tolta da quell’elenco nel 2008, quando l’amministrazione George W. Bush puntava a salvare i negoziati sul nucleare. La nazione asiatica ha visto una tale mossa come un ostacolo agli sforzi diplomatici. C’è tuttavia uno sviluppo interessante: dopo essersi sempre rifiutata di definire piani di emergenza insieme agli Usa, la Cina ha tenuto discussioni su come mettere in sicurezza l’arsenale nucleare nordcoreano nel caso di un collasso del regime. Pechino teme la presenza di soldati americani vicino ai suoi confini; per questo gli Usa hanno assicurato che i suoi soldati ritornerebbero a Sud del 38esimo parallelo – quello che divide le Coree del Nord e del Sud – se costretti a mettere piede sul territorio controllato da Pyongyang.

Intanto per quel che riguarda la palestinese arriva un nuovo attacco al Presidente degli States. Il leader turco Recep Tayyip Erdogan ha accusato il presidente americano Donald Trump di avere una “mentalità sionista” nel mezzo delle tensioni per il riconoscimento da parte degli Usa di Gerusalemme come capitale di Israele. Lo “storico” summit dell’Organizzazione della cooperazione islamica (Oci) di oggi a Istanbul, ha detto Erdogan durante una conferenza stampa al termine della riunione, dimostra “al mondo” che Gerusalemme non è stata “abbandonata”. Parlando con i giornalisti, Erdogan ha ribadito come Gerusalemme sia una “linea rossa” e ha escluso che gli Usa possano fare da mediatori nel processo di pace israelo-palestinese. “Questo processo è finito”, ha detto, secondo quanto riporta l’agenzia di stampa ufficiale turca Anadolu. Erdogan ha esortato “le autorità americane” a fare marcia indietro “al più presto” dopo la “sbagliata decisione” su Gerusalemme. “Chiedo ai Paesi che non lo hanno ancora fatto di riconoscere lo Stato di Palestina – ha detto il presidente turco – Invito il mondo intero a riconoscere al-Quds (ovvero Gerusalemme, ndr) come capitale dello Stato di Palestina”.

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Daniele Naddei

Giornalista iscritto all'ordine dei Giornalisti Pubblicisti della Campania da maggio 2014. Caporedattore.

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