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Vincenzo Paparelli, 40 anni fa il suo assassinio allo stadio Olimpico

Era il 28 ottobre 1979. Allo stadio Olimpico di Roma andava in scena il derby tra le due squadre della capitale. Ma il match tra biancocelesti e giallorossi divenne una tragedia. Un razzo partito dalla curva Sud romanista colse in pieno e uccise il tifoso laziale Vincenzo Paparelli. Aveva 33 anni ed era nella curva Nord con la moglie per assistere ad una partita. Purtroppo trovò la morte per mano di un criminale. Quel razzo attraversò l’intero campo da curva a curva. Un episodio difficile da immaginare e raccontare. Abbiamo provato a farlo attraverso le parole di Gabriele Paparelli, figlio di Vincenzo, che all’epoca dei fatti aveva solo 8 anni.
Che ricordo ha di quella giornata?
“Tutto molto chiaro e nitido. Quella tragedia ha segnato la mia vita per sempre. Di solito andavo anche io allo stadio con la mia famiglia, ma quella volta mio padre non mi portò perché mi disse che era una partita particolare. Mi promise che la prossima volta mi avrebbe portato. Purtroppo quella prossima volta non c’è mai più stata. Per farmi distrarre alcune familiari mi portarono alle giostre. Poi capii tutto”.
A distanza di tanti anni che sensazioni prova?
“Sono le stesse. Il dolore è forte nel mio cuore. E c’è la delusione di non aver mai potuto vivermi la morte di mio padre in pace. Più volte allo stadio ci sono stati cori contro di lui ed in molti casi ho provveduto personalmente a cancellare scritte ignobili sulle mura della città. Lo facevo per proteggere mia madre perché se le vedeva soffriva tanto. Ho sempre avuto una bomboletta nel mio scooter”.
Le istituzioni vi sono state vicine?
“Nel 2004, in occasione del venticinquesimo anniversario di quel brutto giorno, il sindaco Veltroni fece mettere nello stadio una targa dedicata a mio padre. Inoltre ci ospitò al Campidoglio ed offrì un lavoro a me ed a mio fratello. Ci disse che la città di Roma doveva farsi perdonare”.
Sente di avere avuto giustizia?
“Ironia della sorte l’assassino di mio padre, che fu condannato a 6 anni e 10 mesi, morì anche lui a 33 anni. Comprendo che quella tragedia segnò anche lui. Magari non sparò quel razzo per uccidere ma è anche vero che allo stadio si deve andare solo per tifare in maniera sana”.
Le sue non sono parole di rabbia.
“Io l’ho perdonato. Il perdono fa parte della mia educazione e religione. Non ho mai avuto l’occasione di incontrare l’assassino di mio padre e questo mi è dispiaciuto”.
Ha mai avuto contatti con la società della Roma e con i suoi tifosi?
“Con la società mai. Dai alcuni romanisti tanti insulti, ma negli ultimi anni qualcosa sta cambiando. Spesso ricevo messaggi di scuse anche da chi è stato protagonista di brutti cori contro mio padre. Raccontare quella tragedia è importante affinché non si ripeta più e per entrare nelle coscienze delle persone. Allo stadio bisogna andare pacificamente”.
E con il mondo Lazio che rapporti ha?
“I tifosi biancocelesti sono la mia seconda famiglia. Mio padre non è mai stato dimenticato. In curva Nord c’è sempre una splendida bandiera che lo ricorda. Andare allo stadio mi risulta complicato ed è semplice capire il motivo. Ma ho una bambina, laziale come tutti noi, alla quale ho promesso che prima o poi andrò con lei. Quando è andata allo stadio col nonno materno ha visto nella curva Nord la bandiera raffigurante mio padre. Al ritorno a casa mi ha chiesto il perché. Non le potevo dire tutto, mi sono limitato a dirle che il nonno era un laziale al quale tutti volevano bene”.
E con la società biancoceleste ha contati?
“Non particolarmente. Mi piacerebbe poter incontrare il presidente Lotito per parlare di mio padre”.

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