Rosaura alle dieci: una storia di dolente umanità da prospettive multiple
Dopo la tre giorni al teatro Sannazaro con Prime di settimana, Stefano Angelucci Marino e Rossella Gesini porteranno in scena Rosaura alle dieci in una tournée internazionale. Mercoledì 5 novembre partiranno alla volta dell’Argentina. Loro con grande perizia non ne sono solo interpreti, ma ne curano regia e adattamento.
L’Argentina è la patria di questo romanzo di Marco Denevi, conosciuto in Italia già negli anni novanta grazie alla casa editrice Sellerio e caldeggiato da Andrea Camilleri, per poi essere rilanciato nel 2022.
Un caso letterario, consacrato come uno dei più importanti gialli sud americani.
Dentro le sue trame ci sono tantissimi elementi. Il conflitto tra due identità culturali: quella degli italo-argentini che spesso non si sono mai veramente integrati e portano impressi nello spirito una serie di conflitti, traumi e ferite individuali e collettivi, declinati alla voce marginalità.
Il dilemma identitario pirandelliano, di cui Denevi è uno dei grandi interpreti letterari: “chi siamo davvero?“
Vi è la psicologia che ci racconta che ciò che è vero per il soggetto – anche se non si tratta di una verità definitiva e assoluta – produce effetti di realtà sulla propria e sulla altrui esistenza. C’è il pensiero dello storico Todorov, che ci ricorda la parzialità di ogni racconto e di ogni verità, perchè i fatti non parlano da sè, non sono autoevidenti, ma la loro lettura dipende dalla griglia interpretativa in cui vengono incasellati.
Stefano e Rossella incarnano tutto questo portato cognitivo ed emotivo con grande intensità, coraggio, umanità. Attraverso la loro voce e i loro corpi passano quasi simultaneamente una serie di personaggi. Un campionario di umanità fragile e dolente, che sa farsi spietata In un’opera piena di vicoli oscuri, di risvolti, di doppi fondi, di significati sibillini, loro hanno l’ardire di immergersi completamente e senza pelle in questo flusso, che nutre una marea montante.
Il mondo raccontato da più angolazioni e le prospettive sovvertite completamente, come il tavolo che viene ribaltato e diviene altro.
Ogni personaggio, come sottolineano, si infiltra sotto la pelle degli attori e degli stessi spettatori e viene distillato come il veleno del dubbio e della maldicenza. Di ciò che sembra accoglienza e invece è accusa. Che sembra amore e invece si rivela maldicenza, antesignano di violenza e ricatto.
In parallelo c’è il loro lavoro ultraventennale sulla commedia dell’arte e sulle maschere contemporanee. Un artificio scenico che racconta l’ntegrazione con percorsi professionali e ideativi precedenti.
Maschere, mascheroni e burattini rappresentano uno spostamento identitario, con sfumature di significato diverse.
Richiamando le parole degli interpreti, le maschere indicano che al personaggio che sta raccontando la sua versione della storia improvvisamente subentra un’altra identità parallela. Le due identità convivono, si alternano, si sdoppiano, in un moltiplicarsi di possibilità. Lo stesso personaggio mostra di sè stesso una doppia versione: quella pubblica e quella privata e nascosta, spesso più acida e “rancida”, dove le belle parole di facciata si decompongono velocemente. Le voci cambiano, diventano distorte, in falsetto, parodiate. il mascherone ligneo porta in primo piano la prospettiva di colui che viene interrogato e che racconta la propria versione, la propria verità, con la pretesa che sia l’unica attendibile. Una prospettiva che viene ingigantita fino a diventare assoluta, regalando al narratore – che sia Milagros, Matilde, Davide, Eufrasia o Elsa – un momento di celebrità… le luci di un’illusoria ribalta.
I burattini sono la proiezione di come vengono concepiti di volta in volta dallo sguardo altrui i due protagonisti.
In questo modo, divengono altro da sè. È come se lo sguardo altrui se ne impossessasse, cambiandone scelte e traiettorie. Rendendoli incapaci di autodeterminarsi
Quando finalmente le maschere cadono sono i diretti interessati a raccontarsi. Ma anche la loro versione non è esaustiva nè tantomeno chiarificatrice.
Dall’intreccio delle loro voci emergono particolari non detti che rivelano la parte oscura e meno nobile dell’altro.
Come in Un amore di Dino Buzzati, Camilo non è solo un uomo mediocre e mite, un mendicante d’affetto, che rincorre la speranza di un amore fino ad inventarne uno e a dipingerne romanticamente le fattezze. Ma è anche un uomo che metodicamente ricorre al sesso a pagamento fino a dare alla sedicente donna amata il volto dell’unica che conosca davvero.
Maria/Marta è vittima dei soprusi di Iris e del Turco, ma ella stessa diviene carnefice di Camilo, avviluppata nelle spire di possibilità d’azione propiziate da equivoci creati da altri. E poi ridiventerà vittima. Una bambola dai fili spezzati, che non ha mai potuto decidere davvero della vita, del suo destino e del suo corpo.
A decidere per lei è sempre stato il bisogno materiale o le brame altrui.
Questa rappresentazione fa parte di un progetto sull’Argentina che Stefano e Rossella portano avanti da dodici anni. In esso raccontano le parabole degli emigranti italiani. Di identità e anime spezzate, di marginalità.
Un doloroso sradicamento culturale e fisico. In mezzo a questa precarietà esistenziale, i protagonisti cercano un modo per sopportare meglio le umiliazioni e gli affronti della quotidianità. Per sottrarsi al grigiore, alla mediocrità e all’anonimato, “rubacchiando” pezzi di emozione e di vita.
“ Il racconto – spiega Angelucci Marino – ruota intorno al bisogno affettivo. In nome di questo, i personaggi si autorappresentano in una maniera altra. Creano identità parallele. Versioni di sè più edificanti e felici. Migliori. Per avere più solidità, accettazione, riconoscimento di sè. Mostrano queste identità agli altri, ma anche a sè stessi e arrivano a crederci, a sentirle proprie“.
Quello stesso bisogno di riscatto dai legacci di un universo ristretto e soffocante diviene, però, strumento di ricatto e rende paradossalmente più fragili e più esposti. Ed è allora, forse, che si fa strada l’idea di eliminare il dialogo possibile tra i due personaggi che si è contribuito a creare. E lo si fa goethianamente, nella maniera più brutale. Perchè quell’illusione d’amore ci ha reso ancora più piccoli, schiavi e meschini ai nostri occhi e a quelli di un mondo che dileggia le nostre debolezze, a cui non importiamo davvero e per il quale, alla fine, rimaniamo invisibili.

