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Accettare se stessi e l’altro da sè. La lezione delle giornate internazionali

In Italia, al netto dei problemi legati alla pandemia da Covid-19, serpeggia, ormai neanche tanto nascosta, la paura della diversità che genera discriminazioni a vari livelli. La cronaca ci rimanda uno scenario che, nel ventunesimo secolo, assume connotati preoccupanti.

Come non ricordare la vicenda della giovane ventiduenne, Malika Chalhy, cacciata di casa perché omosessuale, dopo aver deciso di scrivere ai genitori una lettera in cui faceva coming out e rivelava loro  di essere innamorata di un’altra ragazza coetanea.

Oppure l’adolescente con disabilità romana che ha subito un vero e proprio pestaggio, in un parco della Capitale, perpetrato da coetanei.

Lunedì 17 maggio è stata la giornata contro la transomofobia, oggi lo è delle aree protette, ieri lo era della biodiversità.

Cosa hanno queste giornate in comune direte voi? Forse niente se le si considera in senso strettamente letterale, magari con lo sguardo distratto di chi va troppo di corsa.

La discriminazione va combattuta in ogni sua forma, l’odio di genere va estirpato nelle sue multiformi manifestazioni, anche la più nascoste, celate dietro il vessillo di obiezioni logiche, di fatti inconfutabili e degli orditi della natura.

Quella stessa natura che ci ricorda la legittimità dell’esistenza di ogni essere vivente e la necessità, onde preservare l’equilibrio globale, di tutelare la biodiversità.

E poi ci sono le aree protetette, quelle messe in pericolo, offese dalla cupidigia e dall’incuria, su cui oggi è stato apposto un vincolo.

Questo da un lato, per interpretazione estesa, ci ricorda la necessaria tutela di ciò che è prezioso, cioè dei diritti, dall’altro potrebbe alimentare la percezione distorta che i diritti di alcuni siano diritti “di nicchia”, perchè quelle persone rappresentano un mondo a parte e necessitano, per la loro stessa esistenza, di provvedimenti e leggi speciali.

In questo modo come evidenzia il pedagogo Andrea Canevaro, ciò che viene creato e regolamentato per creare inclusione e vicinanza finisce per approfondire le distanze.

Di pochi giorni fa è l’ennesimo femminicidio, avvenuto nel torinese, dove una guardia giurata cinquantenne ha ucciso la moglie a colpi di pistola perché non aveva accettato la separazione che, diversi mesi fa, la donna aveva voluto.

La violenza di genere ha una radice comune, quale che sia la forma che assume. Non si accetta che una persona possa scegliere di avere una vita diversa da quella programmata da altri, che rivendichi la propria lbertà di essere ed esistere e il proprio diritto all’autodeterminazione.

Come chiarisce Emanuele Adiletta dottore in scienze e tecniche psicologiche e terapista sessuale, è necessario distinguere tra omofobia interna ed esterna . Quella esterna  è la presunzione delle persone di sapere chi è l’altro e quali debbano essere i gusti “più giusti” opportuni e conformi alla regola dominante, e in quanto tale <<normali>>, che debba possedere ed esplicitare, come se fosse, ad esempio, un’offesa che a qualcuno possa non piacere la pizza. Un’offesa perpetrata nei confronti di coloro a cui piace, che si sentono nel giusto e a cui sembra inconcepibile, addirittura sacrilego, accada e venga affermato il contrario.

“L’omofobia – evidenzia Adiletta – nasce da questo – non dalla paura del diverso come si dice spesso – bensì dall’incapacità di comprenderne le sfumature ovvero quella che si definisce diversità e che è  già  un termine che mette barriere. Il problema risiede nella distanza rispetto a ciò che è diverso da me , ovvero lontano dal mio modo di essere, in quanto il vuoto tra noi e ciò che  ci aspettiamo viene riempito dalle idee personali o dall’inconcepibile” .

Omofobia, secondo il terapista sessuale, non indica la paura dell’omosessualità, ma la paura dello stesso essere umano, perché omo deriva dal Greco ed indica qualcosa che rappresenta lo stesso , il medesimo , ciò che è uguale. In chimica organica indica che due composti sono simili .

“Allora – continua Adiletta – diciamolo per bene: omofobia non è la paura dell’omosessualità ma del nostro simile, che incarna pulsioni e fragilità di cui abbiamo paura. Pulsioni e fragilità che neghiamo e rinneghiamo, per incapacità ad accetterne la legittimità, innanzi tutto in noi stessi. Da qui nasce anche il bisogno che le persone hanno di definirsi nei contesti di vita , di darsi un’identità monolitica . Non si dice più sono una persona, ma sono etero , omosessuale , bisessuale , transessuale etc. Torniamo alle persone, a ciò che tutti siamo in quanto tali” .

Quella interna, nella spiegazione del’esperto, è invece l’omofobia che le persone omosessuali  stesse provano nei  loro confronti non accettando la  propria identità ed esasperando la virilità che mostrano e quindi  anche disprezzando le persone LGBT. Si rinnega sè stessi in nome di una possibile accettazione da parte della comunità di appartenenza. In nome del bisogno di essere riconosciuti e accettati, ritenuti degni e meritevoli,di cui parlava lo psicologo Maslow. E’ quello che fa il nano Macari di Palazzeschi, ma anche il protagonista della pellicola La finestra di fronte.

“Non c’è, a mio avviso – spiega Monica Florio autrice del libro Storie di guappi e femminielli edito da Guida – una categoria più osteggiata e vilipesa delle persone transessuali. Il loro è un cammino solitario, che si compie a prezzo di sofferenze, fisiche e psicologiche, elevate. Le persone transessuali sono vittime di un pregiudizio che si accompagna a un disgusto istintivo, frutto della percezione errata che si siano macchiate della colpa più grave, quella di aver sovvertito, attraverso il percorso di transizione, una realtà immodificabile”.

** Quest’articolo è stato realizzato con i contributi di Giuseppe Adiletta, Giuseppe Franchina,Monica Florio.

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