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La protesta dei dipendenti di Google contro gli abusi sessuali

L’onda lunga di ‘Me Too’ travolge anche Google. Migliaia di lavoratori hanno lasciato sulle scrivanie un biglietto: «Sono uscito perché voglio ottenere un vero cambiamento sul trattamento delle donne in azienda».

Da Berlino a Toronto, passando per Zurigo, Tokyo, Singapore, Londra e naturalmente New York e la California, impiegati ed impiegate di Google si sono fermati alle 11.10 per chiedere non solo la verità sul caso Andy Rubin, ma soprattutto, un cambiamento profondo nel modo in cui la compagnia tratta le donne.

La storia è stata pubblicata sul New York Times e Rubin in un tweet l’ha liquidata come «inaccurata».

I fatti ricostruiti dal quotidiano americano sulla base di documenti interni e di testimonianze di decine di dipendenti risalgono al 2013 quando una donna denunciò il ‘padre’ di Android, Andy Rubin, per averla costretta a fare sesso orale in una camera di albergo.

Google indagò sull’accusa e la ritenne credibile, ma non ci furono grandi provvedimenti se non di chiedere a Rubin di dimettersi assicurandogli una buona uscita d’oro da 90 milioni di dollari.

Nel 2014, dopo quasi dieci anni a Mountain View, il manager se ne andò salutato da uno dei due fondatori di Google, Larry Page, come “colui che ha inventato qualcosa di incredibile”, il software più diffuso al mondo. Un’uscita da eroe che, dopo le rivelazioni del New York Times, non è andata bene  alle organizzatrici della protesta.

Dopo l’uscita dell’articolo del New York Times e il montare della protesta l’amministratore delegato Sundar Pichai ha inviato un’email a tutti i dipendenti chiedendo scusa per il comportamento dell’azienda e promettendo un cambio di marcia: «Capisco la rabbia e il disappunto che molti di voi sentono. È un sentimento che condivido e vi prometto che su questo problema mi impegno a portare un cambiamento».

 Tra le richieste formali che i lavoratori del colosso hanno rivolto all’azienda, infatti, c’è quella di porre fine alla clausola dell”arbitrato obbligatorio’, cioè l’impegno a risolvere qualsiasi caso di molestia o discriminazione “all’interno” dell’azienda e non in tribunale.

I dipendenti che hanno preso parte alla protesta, hanno lasciato sulla scrivania un bigliettino con su scritto: “Non sono in ufficio perché’ sto marciando in solidarietà con altri ‘googler’ e collaboratori contro le molestie sessuali, i comportamenti scorretti e la mancanza di trasparenza”.

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