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La storia di Alfie Evans, il nuovo bambino italiano

La vita, molte volte, è fatta di scelte, buone o sbagliate che siano. In alcune occasioni siamo arbitri del nostro destino in altre, invece, la scelta non dipende da noi, ma da cause esterne più forti, cattive, infami.

Quando c’è di mezzo la vita di un bimbo di quattro anni, però, bisognerebbe fermarsi e riflettere, magari pensare e provare a mettersi nei panni dei genitori che per questo lasso di tempo, hanno visto soffrire una creatura che, del male, non ha mai fatto a nessuno.

E’ la storia di Alfie Evans e di Tome e Kaet, i suoi genitori. Alfieè un bambino britannico colpito da una patologia neurodegenerativa del gruppo delle epilessie miocloniche progressive, per la quale non esistono terapie che possano migliorare lo stato di salute del paziente. Fin dalla nascita, lo Stato del suo paese che aveva deciso per staccare le macchine nonostante la decisione contraria dei genitori che volevano trasportarlo in Italia a Roma all’ospedale Bambino Gesù, uno dei centri d’eccellenza per la pediatria.

Al piccolo, grazie anche all’intercessione dei ministri Minniti e Alfano, è stata concessa la cittadinanza italiana e in allegato la speranza di vederlo presto in Italia per giocarsi un’altra chance di vita.
Su richiesta della famiglia, infatti, alcuni medici del Bambino Gesù sono andati a Liverpool per visitare il bambino, in collaborazione con i colleghi dell’Alder Hey Hospital. I medici italiani hanno dato quindi la propria valutazione clinica e presentato un piano di cura, che prevedeva il proseguimento dell’iter diagnostico e il mantenimento della ventilazione, alimentazione e idratazione con gli opportuni presidi. Al Bambino Gesù ci sono altri bambini con condizioni simili a quelle di Alfie e l’ospedale ha dato la propria disponibilità ad accogliere il bambino a Roma.

Cosa riserverà il futuro al piccolo Alfie è difficile dirlo, e non è ipotizzabile, per adesso, neanche un suo arrivo a Roma, ma la vicenda è una brutta macchia sulla politica inglese, pronta a spezzare una vita già flebile.

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