Lila Esposito al Teatro Tram denuncia la violenza di genere e riflette sull’amore
Silvio De Luca ha ideato e incarna la personaggia Lila Esposito nello spettacolo “L’ammore che d’è. Storie di un femminiello napoletano”.
La scrittura è opera dello stesso De Luca e di Isabella Pinto, con la regia di Manuela Cherubini.
La rappresentazione, che tornerà in scena al teatro Tram anche domani, domenica 11 febbraio alle ore 18:00, è nata, come ricorda l’autore, senza un ragionamento pregresso. “Ho cominciato a scrivere e poi la storia ha assunto una vita autonoma – spiega.
Essenzialmente è diviso in due parti. Una prima che ha la forma della stand-up comedy e attinge al teatro di parola, dove la satira è rivolta alla denuncia della precarietà lavorativa che diviene precarietà esistenziale; ai tanti disagi, disservizi e alle molteplici ombre di questa città lasciata a sè stessa, abbandonata all’incuria e al degrado. Una satira che ingloba anche il versante politico ed è in continuo divenire, perchè è una finestra aperta sul presente e le sue istanze.
“Io credo – continua Silvio – che il filo conduttore sia un’assuefazione ai fenomeni della realtà che ci circonda che porta all’immobilismo e all’ottundimento delle coscienze. Un’assuefazione che ci porta a non opporci a varie forme di violenza e di prevaricazione“.
La prima parte nasce dall’ampliamento delle riflessioni sul presente che Lila condivide online . La seconda, invece, è una vera e propria denuncia dell’azione repressiva operata dal patriarcato, dall’omofobia e dalla violenza di genere e racconta di un intervento di Lila Esposito al World Congress of Families (Il Congresso Mondiale delle Famiglie).
Una “chiamata alle armi” della consapevolezza che arriva addirittura da Mamma Schiavona in persona – la Madonna Nera di Montevergine – che le chiede di sensibilizzare le persone sul tema e lei lo fa attraverso un percorso storico che parte da Clitemnestra e arriva a Margaret Yourcenar, con le sue Memorie di Adriano, ma coinvolge anche voci femminili più contemporanee, come la teutonica Ingeborg Bachmann.
“I testi originali sono bellissimi – ribadisce l’autore e attore – ma io ho voluto tradurli nella lingua napoletana, che poi è la nostra lingua, e trovo che in questo modo siano più passionali, più carnali: li sento più vicini e poi questa operazione mi è servita per sentirli più miei, per assimilarli. In fondo il traduttore diviene, a sua volta, un narratore”.
Secondo quanto evidenzia l’autore, il teatro è una particolare forma di arte e di linguaggio e chi lo utilizza esprime la sua necessità di comunicare qualcosa agli altri, secondo un suo peculiare punto di vista e da una certa prospettiva, ma ogni persona, a suo modo, può può fare qualcosa per promuovere un cambiamento possibile, rispetto al quale nessuno può rimanere indifferente perché quello che colpisce un individuo potrebbe colpirne anche un altro e comunque riguarda tutta la collettività.
Uno racconto – spettacolo irriverente, coraggioso, satirico e farsesco, che possiede quella leggerezza calviniana in grado di planare sulle cose dall’alto per scavare in profondità.
“Tutti, quindi – continua – possono contribuire a fare la differenza e a scuotere le coscienze: siamo tutti un po’ dei piccoli colibrì“.
Ma come si esce da ques’atmosfera di indifferenza e di assuefazione a varie forme di violenza subdola e strisciante? La risposta è: “riaccendendo il desiderio”.
“Ovviamente – chiarisce Silvio De Luca – tutti abbiamo desideri diversi e la sfida è quella di metterli insieme e farli convivere nella nostra e nella loro eterogeneità”.
Ma alla fine lo spettacolo ci dice l’amore cos’è?
“È una domanda difficile – nicchia l’autore/attore -. L’amore non ha forme, non ci può essere una definizione univoca, nè può essere incasellato in un genere binario. L’amore è qualcosa di soggettivo, come l’arte, che ha tante modalità di espressione. L’amore va ascoltato, rivisto, toccato. Sicuramente nessuna legge lo può fermare, perché è troppo grande“.