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Medeya: un inganno che apporta consapevolezza al Teatro Serra di Fuorigrotta

L’appuntamento con l’ultima rappresentazione al teatro Serra di Medeya è in programma stasera, domenica 4 febbraio alle 18:00.

Cosa succederebbe se Medea potesse avere una seconda possibilità, a distanza di secoli, grazie a un Daimon, uno spirito guida, dall’animo buono – in grado di infondere un buon carattere ai suoi protetti – che cerca la sua occasione di riscatto e di libertà?

L’evolversi della vicenda ce lo raccontano Stefania Ventura, che cura anche la regia di questo riadattamento, e Giulia Piscitelli.

La rappresentazione introduce subito il Daimon. I Daimon sono delle presenze che precedono la nascita degli Dei ed esprimono il bisogno dell’essere umano di contatto con il  trascendente, per andare oltre l’angustia del suo orizzonte terreno quotidiano.

Questo spirito guida è stato punito ed è stato condannato a incarnarsi attraverso i secoli nei corpi di anime difficili,  fin quando non riuscirà a salvarne una.

Dopo secoli, incontra nuovamente Medea, la moglie vilipesa e ripudiata che arriverà a uccidere i suoi figli per una sorta di diktat superiore, e quindi ha l’occasione di essere il tramite di una seconda possibilità di scelta con un eventuale finale diverso.

Riuscirà a portare a termine la sua missione?

Io vengo dal teatro di De Filippo – racconta la regista – una tipologia creativa in cui agli attori veniva anche dato modo di essere autori. Ho fatto anche diversi anni di teatro di prosa  a livello nazionale, dove però gli attori sono degli esecutori. Quindi, in questo spettacolo, ritorno al mio spirito creativo. Ho voluto creare una cornice favolistica attorno al nucleo tematico originario euripideo, con tutto il suo pathos assolutamente intatto“.

Richiamando le sue parole, quest’operazione è frutto di un lungo e costante allenamento, durato oltre 10 anni.

Assistiamo così al ripetersi di un loop di incontri della protagonista con sé stessa e il suo inconscio più profondo, negato e rimosso, perché il daimon rappresenta la sua coscienza e il suo dialogo interiore che solo in apparenza  sembra avere un’esistenza autonoma.

Abbiamo voluto rendere l’opera contemporanea – spiega Giulia Piscitelli – e ambientarla nelle borgate, nelle periferie di Roma. Abbiamo scelto che la protagonista fosse romana e non napoletana per conferirle una sorta di neutralità territoriale  e, al contempo, di atemporalità. Confrontarsi con un testo ‘enorme’ come questo, come spessore e significato e con un personaggio complesso come Medea fa paura, ma ho capito che lei alla fine è una donna che ha in sé le paure e i sentimenti di ognuno di noi. Stefania ha saputo vedere in me la persona giusta per interpretarla, anche la mia esperienza con il teatro è cominciata da poco tempo, perché ha colto il mio lato tragico e drammatico“.

Si tratta di una donna ferita e delusa, perché tradita reiteratamente dal marito, che vive non solo ai margini di una città, ma anche della considerazione sociale. Infatti, viene emarginata dalle sue vicine, perché considerata diversa, strana e sostanzialmente inferiore.

Nei tatuaggi riprodotti sul suo corpo – la rosa e la scorpione – come evidenzia Giulia, viene richiamato l’inganno, perché la rosa cela le spine, che possono ferire facendo fuoriuscire fiotti di sangue, e lo scorpione si nasconde sotto la sabbia pronto a colpire, a dare corso alla sua strategia di attacco. Ma la rosa, simbolo di passione accesa, a tratti pericolosa, può assumere anche il significato di una rinascita possibile.

Millenni fa – continua Stefania – esistevano solo gli dei che rappresentavano uno specchio del carattere e dei vizio umani. Oggi per le donne è possibile una presa di consapevolezza attraverso gli strumenti della psicanalisi  Sono anni che leggo e studio testi psicanalitici. Quindi la scrittura di questo testo non è stata improvvisata. Sono partita da un testo illuminate, come Il Codice dell’anima di Hillmann, e poi ho diversificato e ampliato la narrazione. Quello che mi premeva sottolineare è che oggi le donne hanno gli strumenti  per poter compiere una scelta differente. Prendendo consapevolezza dei loro conflitti e rimossi più profondi e laceranti possono affrancarsene e cambiare il proprio destino“.

Secondo le parole della Ventura, i Greci erano maestri in questo, perché sono riusciti sin da primordi a mettere su carta quelli che sono gli impulsi e gli istinti umani.

Dopo secoli e secoli di un percorso di avvicendamenti storici a questa novella Medeya viene data la possibilità di avere una doppia scelta, come fu data al giovane Dioniso che è il simbolo della vita, della generatività e del teatro stesso. Lui che nasce due volte: una prima dal ventre della madre e una seconda dopo l’incubazione nella coscia di Zeus.

Le due attrici – in meno di un’ora – condividono il palco con un’intensa presenza scenica, conferendo all”opera una certa il leggiadria e riuscendo ad alleggerire con grande perizia il clima di angoscia, proprio perché si intravede la possibilità di un epilogo diverso.

La parte più “feroce“, che è poi quella più fedele al testo euripideo, viene spostata dalla realtà all’universo parallelo dei sogni.

Un’operazione di rivisitazione davvero coraggiosa e dal profondo valore educativo. In qualche modo due donne trovano nella loro alleanza, non concependosi piú come rivali, nemiche e antagoniste, una strada di riscatto con la possibilità di autodeterminarsi, di scegliere per la propria vita e di far prevalere la loro autentica scintilla divina rispetto a istinti umani più oscuri e ferali.

Il teatro Serra, piccolo spazio ubicato nel cuore di Fuorigrotta, conferma di saper offrire un programma di spettacoli di elevata qualità.

Non abbiamo toccato il nucleo fondante euripideo – ribadisce Giulia -. Euripide mostra ancora una volta tutta la sua grande attualità, se pensiamo anche a numerosi casi di cronaca. Abbiamo provato semplicemente a cambiare la cornice e alcuni elementi dialogici e di contesto. Questo spettacolo rappresenta un esperimento che tenta di avvicinare al teatro soprattutto i giovani. In epoca post pandemica stiamo assistendo a un ulteriore allontanamento del pubblico da questa forma d’arte. Ci vuole coraggio e un pizzico di incoscienza per tentare di creare qualcosa di nuovo e innovativo, giocando con i testi. Ma un’opera può essere stravolta solo dopo che la si è studiata e conosciuta profondamente, sviscerandola. Ora speriamo solo che questo spettacolo possa continuare il suo percorso, attraverso un’opportuna circuitazione, evolvendosi, crescendo, e noi dentro e con lui”. 

Ph. Pino De Pascale

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