CINEMAHOME

Povere creature: da persone ridotte a cose a esseri umani liberi e consapevoli. La parabola narrativa di Lanthimos

Bella Baxter – questo verrà rivelato quasi alla fine del film – è sia madre sia figlia perché è nata dalle ceneri di Victoria che si è suicidata con il suo bimbo in grembo – anche questo si capirà in un secondo momento – e l’ha fatto per sottrarre lei e il nascituro a un destino infelice legato a un marito crudele, vessatore e dominatore, abituato a conquistare territori e a trattare allo stesso modo le persone, riducendole a una cosa, reificandole.

Il suo corpo viene intercettato da uno scienziato che decide di darle una seconda vita e una seconda possibilità, trapiantandole il cervello del suo stesso feto, sfruttando il fatto che il suo corpo sia ancora ricco di stimoli elettrici non sopiti.

Yorgos Lanthimos dà vita a un film surreale, paradossale e oniroide, anche nell’architettura di alcune città che pure se esistono davvero – come nel caso di Londra, Parigi Lisbona e Alessandria – sono profondamente trasformate in senso surreale e richiamano le architetture di Escher e le atmosfere di alcuni quadri futuristi.

Quando Bella, giunta ad Alessandria, guarda dall’alto la triste sorte dei poveri, nella scala a spirale c’è un richiamo ai gironi infernali danteschi, ma anche alla rupe Tarpea e al monte Taigeto, da racconta fossero gettati i neonati deformi, portatori di una “vita non degna di essere vissuta”.

Una piramide sociale dove Bella sta in alto, a bere tè e a mangiare leccornie, facendo spaziare lo sguardo verso l’orizzonte e il cielo, tra i privilegiati, mentre i i poveri giscciono subalterni, inermi e privi di scelta alla base, tra le immondizie e le malattie.


In questi paesaggi surreali  il regista inserisce una serie di riflessioni e di elementi del tutto reali e realistici sulla condizione umana che è tale solo fin quando sussiste una spinta al miglioramento.


Nel suo percorso di apprendimento e di conoscenza del reale, alla ricerca della legittima libertà di scelta e della possibilità di autodeterminarsi – caratterizzata da un passaggio cromatico negli ambientazioni da un asfittico bianco e nero a un colore, vivace e acceso – Bella incontrerà una serie di personaggi che la aiuteranno a capire il mondo e a capirsi meglio, ma anche a prendere consapevolmente le distanze da alcuni atteggiamenti nei confronti degli esseri umani e della realtà che lei non riconosce come propri nè come adeguati alla sua vita improntata a una profonda autenticità e visceralità.


Attraverso una serie di incontri e di esperienze, Bella potrà scegliere, quindi, non solo quello che vuole diventare ma anche quello che non vuole diventare.


Attraverserà una serie di condizioni potenzialmente abiette e degradanti che potrebbero involgarirla e abbrutirla, riuscendo a mantenere sempre una certa freschezza e una incontaminata purezza di sentire.

La sua fame di vita e di conoscenza, il suo assaporarne e sperimentarne ogni aspetto, è totalizzante, ma c’è anche una spinta razionalizzante – fuori dai cliché e dagli stereotipi dominanti – che la salva, permettendole di andare controcorrente, e soprattutto le consente di conservare la capacità di approcciarsi agli altri esseri umani con empatia e reale interesse per la loro condizione e intrinseca fragilità, per esempio quando lavora in un bordello.


Mentre altri esseri umani dimostrano costantemente la loro mediocrità, dando sfogo alle loro inclinazioni crudeli o inumane e finiscono per abbrutirsi, pur non condividendo queste esperienze potenzialmente distruttive, lei in qualche modo riesce a rimanere pura, incontaminata dai diktat sociali e capace di autentici gesti altruistici.


Tutti i caratteri sono ben delineatii nella loro evoluzione, però l’altro personaggio chiave veramente interessante è il suo padre-creatore: non a caso si chiama Godwin, ma lei lo chiama affettuosamente God (Dio). È stato praticamente fatto a pezzi  e ridotto a un mostro da suo padre, ossessionato dalla Scienza, che lo ha sottoposto a indicibili torture, privandolo di una serie di funzioni fisiologiche essenziali.


Ripudiato, rifiutato e schernito tutta la vita, per i segni lasciati dentro e fuori dagli esperimenti paterni, considerato un cane bruciato, questo essere umano – anch’egli ridotto a una povera cosa, una cavia priva di possibilità di opporsi alle manie di onnipotenza paterne – esplicita il suo amore estremo per la scienza compiendo esperimenti discutibili. Per esempio fa innesti tra due animali diversi: cani, capre, oche, maiali. Ma dimostra per Bella dei sentimenti sinceri, di affiliazione paterna e di nostalgia. La protegge, vuole accompagnarla all’altare il giorno del suo matrimonio, nonostante sia sofferente e in fin di vita, ed è profondamente umano ed empatico.

L’essere e il sentirsi differente della protagonista è sottolineato da tutto: dai gesti, dalle movenze e dai vestiti “fuori misura”, diversi da quelli altrui e non incasellabili in uno stile preciso e in un’epoca.

Fino a un certo punto, la vita di Bella è sempre sotto osservazione, al pari di come si monitora l’evolversi di un esperimento scientifico o si documenta il comportamento di un insetto o di un animale nel suo habitat naturale o, al contrario, in un contesto diverso e alieno.

Per questo, si ricorre alla tecnica fotografica del fisheye.


In questa pellicola troviamo risonanze di tanti film: non soltanto della filmografia di Lanthimos, che viene da pellicole come The Lobster, Canini e La favorita, ma anche grandi classici come Frankenstein, Dracula, The Nightmare Before Christmas e tutta l’atmosfera gotica e noir di Tim Burton, senza dimenticare – ma i riferimenti sono numerosissimi – The Elephant Man e Freaks.

Nella parabola narrativa c’è sempre lo stesso dilemma, lo stesso interrogativo: “Chi sono i veri mostri?“. 

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