HOMETEATRO

Settantuno: una riflessione condivisa sull’odio nero dei leoni da tastiera al Tram

Con il numero 71, la Smorfia Napoletana indica un uomo di poco conto, che parla e agisce in maniera offensiva nei confronti degli altri. Nei fatti è un uomo inutile, sterile, perché le sue azioni sono distruttive e non generative.

Attraverso il ricorso a questo parallelismo, Nello Provenzano e Riccardo Pisani ( che ne curano progetto e regia, con la voce fuori campo di Simona Pipolo e il disegno luci di Gaetano Battista) danno vita a uno spettacolo che sarà di nuovo in scena al teatro Tram di Port’Alba stasera, domenica 3 marzo, alle ore 18:00, dopo il successo dell’esordio di venerdì e di ieri, sabato 2 marzo.

I due autori denunciano il fenomeno dell’odio, della violenza, di ogni tipo di razzismo e di intolleranza che si perpetrano e corrono veloci attraverso le strade del web, in maniera costante e con una crescita dilagante che ferisce a livello psicologico e verbale, ormai ogni giorno.

Siamo di fronte – evidenzia Pisani – a un’assuefazione delle coscienze, favorita dallo strumento tecnologico delle piattaforme social che promuovono un tipo di interazione a volte violento e crudele che si intervalla alla visione di un video di Tik Tok leggero e a una ricetta della nonna, rendendo il contatto con la violenza paradossalmente normale o, comunque, generando una sostanziale indifferenza”.

Lo spettacolo, secondo quanto spiegano gli autori, è nato due anni fa, dopo una gestazione di ulteriori due anni, e ora è tornato a Napoli, parzialmente modificato, perché affonda le radici in una reale ricognizione di post presenti sui social e da preoccupanti casi di cronaca e, ovviamente, ne segue le tracce.

Ci siamo limitati a cucire un abito drammaturgico attorno a questi post reali, che promanano dalle dita e dai pensieri di persone apparentemente normali, dal salumiere alla vicina. Il protagonista, Flaviano, è la summa di gente qualunque“.

Lo spettacolo racconta la vicenda dalla prospettiva del carnefice non delle vittime, per mostrare in vivo la banalità del male, come la definisce Hannah Arendt.

Il registro narrativo è crudo e veritiero – a tratti surreale e grottesco nella sua triste fattualità – ma al contempo  permette ai protagonisti di prendere le distanze, anche a livello identitario, da ció che viene raccontato e rappresentato.

Nel momento in cui il teatro riflette su sè stesso e sul suo ruolo, nonchè sulle peculiarità narrative che lo caratterizzano, diviene metateatro.

Scegliamo di ricorrere – spiega Pisani – a un gioco teatrale per decostruire alcune dinamiche che sono agghiaccianti, per accendere una luce di consapevolezza, per far riflettere. Per Nello, a tratti, è stato scomodo e davvero difficile e disturbante calarsi nei panni di questo personaggio e della sua abietta crudeltà, che si manifesta senza freni nè senso“.

Flaviano abita in un quartiere multietnico: è un signor nessuno, anonimo, secondo il racconto scenico. Nella vita non riesce a esprimere la sua rabbia – frutto di una frustrazione profonda e ribollente.

Nella realtà la camuffa e si camuffa, esprimendo, invece, attraverso i social tutta la sua violenza e il suo odio nero come la pece.

Il culmine è un delirio folle. Incita tutti i suoi follower alla cosiddetta operazione Safari, che richiama la strage di Macerata. Ogni giorno spinge i suoi seguaci a uccidere un esponente di una qualche categoria che non gli ha fatto niente e che ha la sola colpa di appartenere a un gruppo a lui inviso.

Questo spettacolo – evidenziano gli autori – è  dinamico, perchè racconta la società nella sua agghiacciante involuzione. Il profilo – tipo di quest’essere insensatamente violento accorpa in sé una serie di persone apparentemente normali, banali, che si celano dietro un’apparente insospettabilità“.

Una violenza che si auto – alimenta, secondo le parole degli autori, con la rabbia e la frustrazione di chi crede nel racconto falsato e fuorviante di una guerra tra poveri, dove si cerca di volta in volta un capro espiatorio. Una lotta intestina che trova terreno fertile in un substrato di ignoranza, inteso proprio come una non conoscenza delle reali radici delle disuguaglianze sociali, dove alligna e cresce un clima di intolleranza.

Per questo uomo non c’è, però, un riscatto possibile. Anzi, è talmente privo di speranza che gli autori all’inizio e alla fine  dello spettacolo ne prendono esplicitamente le distanze dichiarando, in maniera aperta e inequivocabile, la loro sostanziale estraneità ai suoi pensieri e alle sue azioni. Una condanna senza possibilità di appello, nè attenuanti.

Per mostrare che lo spettacolo è frutto di una ricognizione accurata effettuata attraverso i social, su uno schermo scorrono una serie di post tratti dalla rete. Un monito, affinchè le coscienze si risveglino da un ottundimento pericoloso, perché non opporsi al dilagare del male vuol dire in qualche modo diventarne conniventi e accettarlo passivamente come normale. Un atteggiamento banalizzato dai più, anche se i suoi effetti sono deleteri e profondamente reali e le loro conseguenze si esplicano al di fuori dei social in maniera drammatica. 

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