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La battaglia di Hollywood per la libertà di stampa

In occasione della XXIV Giornata mondiale della libertà di stampa Cultura a colori ricorda i grandi film che hanno affrontato il tema, dai lontani anni 40 con “Il quarto potere” di Wells a “Il caso Spotlight” del 2015 di Thomas McCarty. Per non dimenticare e per continuare a lottare per la libertà di informazione in tutto il mondo.  

Oggi 3 maggio ricorre la XXIV Giornata mondiale della libertà di stampa voluta per la prima volta dall’assemblea generale dell’Onu nel 1993. Obiettivo dell’ONU era quello di ricordare ai governi i loro doveri per far rispettare l’articolo 19 della dichiarazione universale dei diritti umani e celebrare l’anniversario della dichiarazione di Windhoek, sui principi della stampa libera, emessi dai giornalisti africani nel 1991.

Se la libertà di stampa può sembrare un qualcosa di scontato ai nostri occhi, bisogna tener presente che non in tutto il mondo vige questa libertà. In alcuni paesi un giornalista può passare diversi anni in prigione per aver detto una sola parola o per aver scattato una fotografia. Imprigionare o uccidere un giornalista significa eliminare un testimone fondamentale e minacciare il diritto di tutti all’informazione. Moltissime associazioni lottano a livello internazionale per difendere il diritto alla libertà di stampa e tutti i giornalisti che a discapito delle leggi dei loro paesi continuano a praticare la propria professione. Un esempio molto attivo è Reporters sans Frontières.

Il tema della libertà di stampa è caro anche ad Hollywood, e in occasione di questa importante giornata noi di cultura a colori ripercorriamo brevemente la sua storia attraverso il cinema.

I primi registi ad avvicinarsi al tema giornalistico sono nomi importanti come Howard Hawks e Orson Welles, che negli anni 40 iniziano ad affrontare l’argomento con pellicole che possiamo definire “newspaper movie”. Un primo esempio fu “Quarto Potere” di Welles, film del 1941 ispirato alla vita del magnate dell’editoria William Randolph Hearst. “Quarto potere” descrive il mondo spietato del giornalismo americano di quegli anni, privo di etica e dedito solo al profitto. La volontà di queste prime pellicole è quella di dare uno spaccato romanzato della vita del reporter ed in generale del lavoro giornalistico, tutto questo spesso in chiave negativa, facendo leva sul cinismo e l’assenza di scrupoli di giornalisti a caccia di scoop. Su questa scia continueranno film come L’asso nella manica diretto da Billy Wilder nel 1951 o Piombo rovente del 1957 di Alexander Mackendrick. Fin qui la panoramica che Hollywood offre del mondo del giornalismo è negativa: l’aspetto più evidente che emerge in questi primi film è la visione corrotta del giornalismo, il lato oscuro del quarto potere dal quale nascono notizie create ad arte per generare scandali. Un’inversione di tendenza si ha invece nel 1952 con “L’ultima minaccia” di Richard Brooks. Brooks, che fu per un periodo cronista, comprese a pieno le logiche del potere e nel film ci mostra un direttore di giornale che fa di tutto per non piegarsi alle minacce delle lobby, continuando la sua lotta contro un’organizzazione criminale. Una scena del film rimasta nella storia è quando il protagonista dice al telefono al suo nemico: “È la stampa, bellezza, la stampaE tu non ci puoi fare niente.”, mentre la notizia che incastrerà il gangster viene data alle stampe.

 

Proseguendo verso gli anni 70, soprattutto nella stampa americana, si diffonde l’idea di un giornalismo che sia watchdog del potere, ossia cane da guardia, custode della verità contro gli interessi dei potenti. Durante gli anni di piombo anche in Italia il cinema affronta il tema giornalistico in tal senso, e si inizia a sentire la necessità di un giornalismo che sia realmente quarto potere di controllo e di denuncia sociale. Esemplare di questi anni è Sbatti il mostro in prima pagina di Marco Bellocchio del 1972, film in cui si evidenziano i legami sotterranei fra la stampa ed il potere che cerca di manipolare l’informazione per influenzare l’opinione pubblica. Nel frattempo oltreoceano Alan J. Pakula dà vita a un capolavoro vincitore di ben quattro premi Oscar: si tratta di “Tutti gli uomini del presidente” con Robert Redford e Dustin Hoffman. La pellicola racconta l’indagine che portò allo scandalo Watergate, mostrando l’importanza del giornalismo d’inchiesta disposto a tutto per scovare la verità. Ottimo spunto inoltre per riflettere sul problema delle fonti, sull’indipendenza della stampa e sulla responsabilità giornalistica nella ricerca di verità scomode.

Durante gli anni 80 e 90 i film continuano ad oscillare tra queste due visioni della stampa.  Nel 1981 “Diritto di cronacadi Sidney Pollack mette in luce l’abuso del potere della stampa, mentre

Insider – Dietro la verità” di Michael Mann (1999) rivaluta ancora una volta la figura del report d’assalto che mira a contrastare con le sue inchieste il potere di un’importante multinazionale svelandone i piani nefasti. In questi anni continueranno a spopolare film che avranno il merito di contribuire a far luce sulla portata democratica di questo mezzo d’espressione.

Dopo l’11 Settembre il giornalismo dovrà affrontare altri problemi, infatti la legge sulla sicurezza nazionale approvata dopo l’attentato, impone che si riveli la fonte giornalistica di informazioni utili per la lotta al terrorismo e così Rod Lurie nel suo “Nothing But the Truth del 2008 affronta il tema della libertà di informazione sotto una luce nuova, che contrappone deontologia professionale e sicurezza nazionale.

Il filone più recente, invece, è quello di film che denunciano gravi scandali. Un esempio ne è “Il caso Spotlight” di Thomas McCarty, film vincitore di ben due Oscar. “Il caso Spotlight” racconta la storia del team di giornalisti investigativi del Boston Globe soprannominato Spotlight, che nel 2002 ha sconvolto la città con le sue rivelazioni sulla copertura sistematica da parte della Chiesa Cattolica degli abusi sessuali commessi su minori da oltre 70 sacerdoti locali, in un’inchiesta premiata col Premio Pulitzer. Consapevoli dei rischi cui vanno incontro mettendosi contro un’istituzione come la Chiesa Cattolica a Boston, il caporedattore del team Spotlight, Walter “Robby” Robinson, i cronisti Sacha Pfeiffer e Michael Rezendes e lo specialista in ricerche informatiche Matt Carroll cominciano a indagare sul caso. Via via che i giornalisti del team di Robinson parlano con l’avvocato delle vittime, Mitchell Garabedian, intervistano adulti molestati da piccoli e cercano di accedere agli atti giudiziari secretati, emerge con sempre maggiore evidenza che l’insabbiamento dei casi di abuso è sistematico e che il fenomeno è molto più grave ed esteso di quanto si potesse immaginare.

Quale sia il futuro della stampa non possiamo saperlo, né tantomeno possiamo prevedere come se ne parlerà sul grande schermo. Una cosa è sicura, che la lotta per la libertà d’informazione non deve cessare e tutti nel nostro piccolo dobbiamo supportare i colleghi meno fortunati di noi e che in ogni parte del mondo rischiano la vita per esercitare la loro professione.

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