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Io, Filumè: due vite a confronto, un unico messaggio di amore e inclusione al Tram

Torna anche per stasera in scena, domenica 2 aprile, alle 18:00, lo spettacolo Io, Filumè, per la regia e l’interpretazione di Franco Di Corcia Jr, accompagnato dal vivo dal musicista Mattia Pagni.
Il palco è quello del teatro Tram di Port’Alba, coraggioso spazio off, che si distingue per una programmazione all’insegna della qualità e della costante professionalità.
“Il sistema teatrale – sottolinea il regista – va profondamente rivisto e riformato. Si tratta di un sistema chiuso che dà spazio in cartellone soltanto ai grandi nomi per essere certo di avere un ritorno immediato nella vendita di biglietti. Onore al merito agli spazi off, che hanno il coraggio di rischiare, dando spazio a interpretazioni altre”.
Secondo quanto ribadisce Di Corcia, i giovani andrebbero educati, affinché imparino ad amarsi, a rimettere davvero al centro la cultura e a riscoprire la funzione del teatro che è uno strumento per raccontare e decodificare la realtà che ci circonda. I suoi studenti vengono invitati e esortati a guardare vari generi di spettacolo per sviluppare un gusto personale e per affinare il proprio spirito critico. Dalle sue parole emerge la profonda consapevolezza che anche tra colleghi artisti bisognerebbe sempre andare a vedere gli spettacoli altrui per trarne motivo di confronto e di scambio di visioni.
Lo spettacolo Io, Filumè ha una lunga gestazione, durata circa 9 anni, tra vari ostacoli e fraintendimenti. In esso si incontrano e si confrontano la storia, ormai un classico, di Filumena Marturano, prostituta per necessità, donna coraggiosa per scelta, e quella di Franco.
Franco difende fino in fondo il suo diritto legittimo all’esistenza e alla creazione di progetti che sono continui parti di sè stesso.
Un “conato” costante, volto a coltivare i propri sogni e a compiere faticosi viaggi, che cominciano da un gesto di autodeterminazione: quello di allacciarsi le scarpe.
Un cuore limpido e caparbio alla ricerca di un amore forte, vero, solido.
“Oggi non mi aspetto e non mi importa che il mio spettacolo piaccia a tutti. – ammette – Invece, da giovane artista cercavo ostinatamente l’approvazione altrui e mi impegnavo ad assecondare le aspettative del pubblico”.
La storia di Franco comincia in Svizzera, dove i genitori si sono trasferiti per lavoro, costretti a firmare un contratto in base al quale si impegnavano a non avere i figli per i primi anni di matrimonio. Ma il figlio arriva prima del previsto e per le sue due iniziali settimane di vita viene cullato, nutrito e coccolato da donne di varie etnie e culture, arrivate lì in cerca di un futuro migliore. Da loro impara il vero significato della parola inclusione. Uno scambio emotivo ed empatico che non conosce muri e cesure.
Poi viene rispedito a Salerno e da lí in Irpinia nella casa dei nonni, nascosto in una valigia.
Quindi, il viaggio di Franco inizia all’insegna del nascondimento e per tutta la vita, nonostante le ingiurie, le accuse infamanti e le botte, lui continuerà ricordare a sè stesso di credere alla propria grandezza umana e creativa;  di amare e di amarsi; di lottare per realizzare i propri sogni; di andare sempre avanti,  dribblando le difficoltà.
“Il mio – spiega l’attore – è un messaggio di amore universale. Un amore che non conosce confini, né geografici nè di genere. Quello che sa accogliere, come fa il Teatro nei confronti dei propri allievi e dei propri spettatori. Quello di un Paese, che sa farti sentire nel posto giusto, non uno straniero nè un estraneo”.
Il viaggio di Filumena  si conclude con un sentimento di riconoscenza e di reciproco riconoscimento. Finalmente, lei puó smettere di correre; di affannarsi; di avere paura; di cercare di andare avanti da sola. Perché sola più non è. C’è chi la sosterrà e che le darà una pacca rassicurante e confortante sulle spalle. ll viaggio di Franco è ancora in fieri. Lui deve ancora guardarsi le spalle e darsi una pacca sulle spalle da solo, ma il sogno e la speranza non demordono.
“Sulla scena – ricorda – erompo in un pianto irrefrenabile, non preventivato e liberatorio. Reagisco a un senso di soffocamento. Nella mia vita privata non mi è concesso. Il pianto, infatti, è una rinascita. È sentirsi accolti e protetti dalla vita”.
Un attore vero, autentico, umile, capace di regalare emozioni intense, struggenti, graffianti, persino disturbanti, perchè risvegliano le coscienze dall’ottundimento della banalità e da quelle sensazioni edulcorate e annacquate, che lasciano la bocca e l’anima avvolte da uno strato di stucchevolezza inautentica.

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