HOMETEATRO

Nevrotika, ultimo capitolo: al Civico 14 di Caserta un’intensa interpretazione di un tema scomodo

Nevrotika 7-8-9, la trilogia scritta e interpretata da Fabiana Fazio, giunge alla fine del suo viaggio e lo fa al Civico 14 di Caserta, con toni dolceamari.

Il disturbo ossessivo compulsivo, come recita una voce che torna a sentirsi in una sorta di loop, è caratterizzato da un pensiero non voluto, intrusivo e ricorrente, che si accompagna alla compulsione, cioè alla necessità di ripetere in maniera parossistica dei comportamenti, con lo scopo di ricavarne conforto e rassicurazione.

I manuali spiegano che si tratta di un disturbo di adattamento alla realtà: da qui la presenza di coscienze anestetizzate e addormentate e il distacco dalla sfera emotiva che accompagna questo tipo di condizione.

“In scena – racconta Fabiana – assistiamo al racconto di una madre che, attraverso la sua ossessione per i numeri, rivela di aver perso un figlio alla ventitreesima settimana di gestazione. Lo dice con un grande distacco emotivo”.

In scena, poi, vediamo altre forme di compulsione: una segretaria ossessionata da un certo tipo di disposizione degli oggetti nei casetti e di ordine dei libri e dei faldoni su scrivania e librerie – nonchè dal chudere le porte, rincontrollando ripetutamente – secondo un rituale – che non ne rimanga aperto neanche uno spiraglio. Una donna che ama una certa disposizione geometrica dei pavimenti che le permetta di incasellare uno dopo l’altro i suoi passi, alla ricerca dei segni, siano essi un refolo di vento o una foglia secca che crepita sotto i piedi.

“L’ironica provocazione che proponiamo – continua l’autrice e interprete – è quella di passare da un disturbo di adattamento all’adattamento al proprio disturbo, il che non vuol dire rifiutare un percorso di cura, ma crearne i presupposti, accettandosi pienamente e riconoscendo di avere un problema. In questo modo, parafrasando Watzlawick, ci si tuffa letteralmente nel disturbo, ci si immerge in esso”.

Ecco perchè lo spettacolo si apre con le tre protagoniste, capaci di rendersi la vita impossibile, che danno sfogo a tutte le loro manie traformandole, poi, in un’armoniosa e gioiosa danza che inneggia alla vita.

Non mancano ulteriori momenti ad alto pathos e tensione emotiva, come quello in cui le tre riflettono sul senso della maternità che, come accade per la formica regina, spesso spezza le ali, condannandole, socialmente, a un destino già scritto ed eteroimposto.

Ma prima di partorire un altro essere umano – secondo una narrazione e una possibile lettura a più strati – le protagoniste sono chiamate a partorire se stesse, in un processo di progressiva presa di consapevolezza e di rinascita, in cui si riesca, finalmente, a reincollare i pezzi.

E poi c’è la bara bianca, che nelle tre fasi della trilogia fa la sua apparizione in momenti nevralgici: un compleanno, una morte ed una nascita.

Totem di quel desiderio di successo che porta all’ottundimento delle coscienze e approda a una comunicazione patologica tra patologie, come ribadisce la stessa autrice.

Ma prepotente emerge da questo silenzio ovattato e da questo vociare che non sa trasformarsi in dialogo la voce della coscienza – rappresentata dal microfono – che rompe il loop e permette di vedere questo stato, di vedersi davvero e di accettare se stesse.

Le altre due protagoniste, interpetate da Valeria Frallicciardi, Giulia Musciacco, quando i toni diventano troppo seriosi, analitici e profondi, ricordano alla loro compagna di sventure e di “attesa” che di tratta di uno spettacolo comico, costringendola a raccontare una barzelletta tanto scontata quanto fuori contesto nella sua banalità

“In fondo cosa vuol dire che si tratta di uno spettacolo comico? – evidenzia Fabiana – . Dobbiamo pensare al metateatro: attraverso vari tipi di linguaggio e di registri stilistici, e quindi anche attraverso quello dell’ironia che sfocia nella comicità, si possono raccontare storie e si può parlare di veri e propri drammi, evidenziando, al contempo, una caratteristica tipica del disturbo ossessivo – compulsivo: il distacco dall’emotività”.

Uno spettacolo che affronta un tema complesso, in cui sarebbe fin troppo semplice sbagliare toni e modi, scadendo nella banalità o nella medicalizzazione di una condizione esistenziale e che invece sa far ridere, piangere… riflettere, con una forza interpretativa che spiazza e sa essere sia pugno allo stomaco sia risata (e danza) liberatoria e catartica.

Ph. Pino De Pascale

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