Per lei nel giorno del suo compleanno: al Tram la metafora di un nomadismo emotivo
Per lei nel giorno del suo compleanno è uno spettacolo che nasce sotto forma di diario, una sorta di monologo interiore che si proietta all’esterno.
Tornerà sul palco del Tram stasera, domenica 24 marzo, alle ore 18:00.
Si tratta di un viaggio in varie tappe del protagonista che, ovunque vada o “approdi” si sente sbagliato, fuori posto, un pellegrino, costretto a un eterno nomadismo.
Un senso di estraneità che si radica anche nel rapporto di coppia, ormai logoro e privo di significato, come sottolinea l’autore Francesco Bianchi.
Questo lui, un uomo anonimo tra tanti, cerca disperatamente un appiglio, qualcuno che lo comprenda e che gli sia simile.
Ma questa sua ricerca spasmodica, a tratti ossessiva, è destinata a risultare fallimentare, perché quando stiamo davvero male nessuno ci può aiutare. Come ribadisce l’autore, siamo noi a dover cambiare rotta e, fintanto che non assumiamo questa consapevolezza, non troveremo nessuno in grado di capirci in maniera profonda, perchè quel male di vivere che ci appare concreto e perfettamente comprensibile è invece sfuggente per gli altri.
Anche la conversazione con le varie estrinsecazioni di lei, la cui immagine si moltiplica in diverse varianti – una lei simbolica com’e simbolica la relazione di coppia analizzata, metafora di una serie infinità di possibilità relazionali – si esaurisce in una ricerca ossessiva che si frammenta e si reitera, mostrando la fondamentale impermeabilità della sua interlocutrice al grido di dolore di quest’uomo, stanca di avere a che fare con gli ingombranti fantasmi altrui, che producono una sostanziale stagnazione.
“Si tratta del mio scritto più autobiografico – racconta il regista -. Questo lui aspecifico è consapevole che non riuscirà a spiegare alla sua lei cosa lo tormenta. Si tratta di un monologo spezzato che sa farsi dialogo solo in apparenza“.
In realtà non c’è un autentico scambio comunicativo e di sentire tra i due, ma solo un flusso unidirezionale.
“A me interessa – continua Bianchi – creare delle opere imperfette e incompiute. Questa, in particolare, è ispirata alla cosiddetta etica del fallimento. Fallimentare è anche la messa in scena, perché si tratta di un’opera parzialmente irrappresentabile. Oggi, fare arte è molto difficile perché ci scontriamo contro la continua assenza o penuria di mezzi Allora, invece di farmi travolgere da questa scarsità e lasciarle trasformare passivamente il senso del mio scritto, ho deciso di metterla al centro della mia poetica. Tutto è affidato a pochi e piccoli oggetti di uso quotidiano, che troviamo racchiusi nella valigia che il protagonista trascina con sè”.
Uno scritto ampio – che si presta a differenti messe in scena – che trova il proprio presupposto in un interrogativo scomodo: “Cosa succederebbe se i pensieri cui nessuno di noi ha il coraggio di dare voce e spazio, nemmeno nella sua mente, un giorno si presentassero tutti insieme con il loro peso?”
Quella adottata da Francesco è una costruzione narrativa che procede deduttivamente, dal generale al particolare, ed è caratterizzata da ribaltamenti e dislocazioni delle identità in gioco.
“Nel mio gioco teatrale – continua l’autore e regista – ho voluto creare un senso costante di disorientamento, metaforizzando, attraverso l’elemento del viaggio, l’alienazione provata dal protagonista rispetto al mondo che lo circonda, che è oggettivamente orribile, e finanche verso sè stesso. Tutto ha un’immagine distorta. Il lui in scena, nonostante razionalmente abbia compreso alcune dinamiche, non riesce a interiorizzare alcune consapevolezze e a renderle fonte di un’autentica conversione interiore. Quindi finisce per fare la scelta più sbagliata possibile, accartocciandosi letteralmente su sè stesso e arrendendosi allo stato delle cose, a quel mondo orribile fuori e dentro“.
Simone Tangolo e Monica Buzoianu, calati in questo universo frammentato, talvolta surreale ai limiti del grottesco, riescono a essere veri e credibili. Le loro espressioni facciali accompagnano e rafforzano il senso delle parole, anticipandolo.
Ironia e disperazione si alternano in un ritmo serrato. Monica trasmette allo spettatore – traformato nell’identità collettiva del pubblico – tutta la sua frustrazione per una situazione ormai insostenibile, fino ad arrivare a staccare il microfono al suo interlocutore, ancora una volta impegnato nell’estrinsecazione di un dolore autocompiaciuto. Simone è sornione e ristagna in una quieta disperazione che assume il volto di una bonaria indifferenza, scaturita dalla consapevolezza che ogni tentativo di cambiamento è, nei fatti, vano.