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Sacchetti monouso per frutta e verdura, si placa l’ondata di indignazione

A quasi un mese dall’irruzione in scena dei sacchetti per la verdura a pagamento, sembra essersi placata l’ondata di proteste e ironia che ne ha contraddistinto l’introduzione in Italia.

La norma impone di usare sacchetti ecologici biodegradabili, compostabili, ultraleggeri e monouso anche per imbustare e pesare frutta e verdure non confezionate e per i prodotti presi ai banchi o ai reparti di gastronomia, macelleria, pescheria e panetteria. Quello che agli italiani non è andato giù sono i pochi centesimi aggiunti allo scontrino. Questo aggravio di spesa è frutto dell’applicazione di una direttiva dell’Unione europea.

La distribuzione degli shopper ecologici a pagamento prevede un esborso fra i 2 e i 5 centesimi che si rifletterà in pochi euro all’anno. Tanto rumore, per nulla o quasi. Le nuove borse dovranno avere una spessore inferiore a 15 micron ed essere certificate da organismi accreditati. Il contenuto minimo di materia prima rinnovabile è di almeno del 40 per cento a partire dal 1 gennaio 2018, di più del 50 per cento dal 1° gennaio 2020 e oltre 60 per cento dal 1 gennaio 2021 in avanti. Sui singoli sacchetti, fatti con materiali destinabili per legge al contatto con gli alimenti, andranno riportati gli elementi identificativi del produttore, le diciture che attestano il possesso dei requisiti di legge. Infine le sanzioni per chi non li utilizza. Vanno da 2.500 a 25mila euro, con punte fino a 100mila euro per ingenti quantitativi di sacchetti di plastica oppure quando il valore dei pezzi fuorilegge supera il 10 per cento del fatturato del trasgressore.

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