HOMETEATRO

Triolagnia: la timidezza che ci imprigiona e ci spinge a non essere autentici.

Due persone affette da una timidezza cronica che non permette loro di vivere i sentimenti pienamente si ritrovano in un cinema per vedere un film a cui hanno partecipato in qualità di protagonisti. Non sanno di essersi già incontrati e si approcciano l’un l’altro con tutte le precauzioni e i convenevoli di due estranei, in un misto di attrazione e diffidenza, inciampando in qualche esilarante e tenera gaffe.

Si riconosceranno attraverso un corto circuito che ingaggia il pubblico e dà le mosse a un reciproco disvelamento. In seguito,  daranno vita a un rapporto a trois, una Triolagnia come recita il titolo, dove però il terzo elemento – o il terzo incomodo – non è un amante come potrebbe sembrare,  bensì l’autore di questo lavoro teatrale che, quale deus ex machina, muove i fili di questa narrazione, cambiandone alcuni particolari.

Scelgo di narrare –  racconta il regista Nello Provenzano il disagio, la timidezza di questi di questi personaggi attraverso tre quadri narrativi. In ognuno la presenza in controluce dell’autore condiziona pesantemente la vita dei due, che solo apparentemente sono soli“.

Il primo episodio, Popcorn, richiamando le parole del regista, era già stato presentato come corto e quindi “ci aspettavamo una risposta divertita del pubblico, mentre gli altri due episodi narrativi sono stati un esperimento e quindi anche la reazione del pubblico, che è stata entusiasta e divertita, è stato per noi una scoperta“.

Il disagio relazionale e sociale dei protagonisti viene raccontato attraverso la chiave del surrealismo e del grottesco.

È una chiave che mi appartiene particolarmente – continua il regista –  e scelgo un registro volutamente finto, caricato, esasperato. Una piccola follia, un continuo nonsense, perché secondo me questo è l’unico modo in cui si può raccontare. In una situazione come questa si rischierebbe di scivolare nel banale o di trovarsi di fronte a un quadro  troppo complesso”.

 Questi personaggi, come ricorda l’autore e regista, sono inconsistenti, nati dalle scelte altrui. I loro pensieri le le loro parole sono frutto di un artificio dell’autore, che muove i fili come un burattinaio. Non hanno alcuna libertà, ma questo si capisce solo in un secondo momento. Un corto circuito che coglie di sorpresa il pubblico che, come evidenzia Provenzano, mostra di comprendere quasi subito che si tratta di un gioco meta-teatrale a cui è chiamato a partecipare dove i personaggi solo per un breve attimo accarezzano l’idea di essersi affrancati e di essere finalmente padroni della loro vita.

L’autore decide tutto – ribadisce il regista – dall’alto e li ridicolizza, enfatizzando alcune situazioni. I palloni appesi alle loro spalle sono fatti di di aria: richiamano la loro inconsistenza. Sono come delle bolle d’aria,  prigionieri di un vento perpetuo, una coazione a ripetere alcune situazioni in loop identiche a sé stesse, fino a quando eventualmente il drammaturgo non deciderà di apportare una qualche  variazione narrativa al tema portante. Sono prigionieri di un limbo“.

Forse per la mia formazione sociologica, filtrando lo spettacolo attraverso una visione e una sensibilità personali, nonché un peculiare vissuto, in questa costruzione scenica ho visto riflesso il disagio della società stessa, una sorta di metafora, dove tutti gli attori sociali pensano di essere totalmente liberi e di potersi autodeterminare, ma sono in realtà vittime di dinamiche relazionali e collettive eterodirette, che li costringono a non essere mai realmente autentici e a compiere scelte obbligate a breve, medio e lungo termine.

Un circuito obbligato che viene raccontato anche attraverso l’ultimo quadro narrativo, Limbo, in cui i due ripetono in loop una serie di gesti e discorsi stereotipati sul destino della loro relazione e sulle aspettative individuali e sociali, alternando sorrisi, noia e rabbia, per poi ripartire inesorabilmente dal via, attraverso la strada di una riconciliazione melensa e forzosa che li tiene avvinti come se fossero catturati da una calamita manovrata dalla volontà altrui.

La realizzazione di questo lavoro – dice Provenzano –   è frutto di una squadra molto coesa. Noi ci siamo veramente divertiti in scena, ma questa storia non è scevra da alcuni risvolti  malinconici, perché questi personaggi non sono liberi e rivedono lo stesso film di volta in volta in sale diverse. In quella pellicola, infatti, viene proiettato l’unico momento in cui sono riusciti a esprimere sé stessi, perché nascosti da una maschera. Cercano di rivivere continuamente quell’unico frammento di espressione della loro sessualità, che rappresenta il loro miraggio d’amore e di intimità“.

Sul palco una Valeria Impagliazzo e un Gianluca Cangiano davvero convincenti e eclettici, che toneranno in scena stasera, domenica 28 aprile alle 18:00, a chiudere la stagione teatrale del Tram.

I vari cambi scenici sono sottolineati dalle musiche originali di Peppe De Rosa. Il tutto è stato reso possibile e impreziosito dall’impegno dell’assistente alla regia Anna Simeoli. L’atmosfera è dipinta grazie al disegno luci di  Victoria De Campora, venuta da Milano per dare il suo apporto a quest’opera che fa ridere di gusto e, talvolta, sorridere amaramente.

Share This:

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Cultura a Colori