HOMEScienza

I Selfie safari minacciano l’Amazzonia

Si sente il rumore degli otturatori e spuntano selfie stick da tutte le parti. Una donna tiene in braccio un piccolo caimano, a bocca spalancata, vicino alla testa del suo neonato. Un’adolescente si avvolge un’anaconda intorno al torso, per farsi un video.

 I turisti lanciano qualche moneta in un secchio e scendono dalla piattaforma. Hanno avuto quello che volevano. Ora l’eccitazione lascia spazio all’indifferenza. Quando trascorri giorni o settimane nella giungla potresti, se sei fortunato, vedere un bradipo selvatico che penzola da un albero o scorgere gli occhi di un caimano, che brillano nel fiume durante la notte. Vederne molti dal vivo però è improbabile. Tutti? Impossibile. Ma qui l’esperienza è assicurata. È il grande magazzino degli animali.

“Senza gli animali non verrebbe nessuno. Chi non è del posto non capisce il nostro modo di vivere, perciò ne parlano male”.  Questa la scusa delle persone del posto “non conoscono la nostra realtà”.

In Colombia, sul lato opposto del fiume rispetto a Puerto Alegría, alcuni hanno capito come sopravvivere aiutando gli animali invece di far loro del male. Mocagua, insediamento indigeno con circa 650 abitanti, è molto simile a Puerto Alegría: rive fangose, passerelle di legno, la stessa lingua. Gli abitanti hanno cacciato le scimmie lanose dalla coda gialla quasi al punto di estinguerle.

Ma nel 2004 loro e le comunità circostanti hanno acconsentito a fermare la caccia, collaborando con la Maikuchiga Foundation e la sua fondatrice, Sara Bennett, biologa esperta in primati. Maikuchiga è il primo e unico centro della Colombia che si occupa di salvare e riabilitare i primati; va avanti grazie ai volontari, spesso turisti che vogliono vivere la vera Amazzonia.

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