HOMETEATRO

Signora Odissea: riflessione contemporanea sulla questione di genere

Signora Odissea di e con Titti Nuzzolese e Roberta Misticone fa il suo esordio nell’ambito di Brividi d’estate al Real Orto Botanico, una rassegna ideata è realizzata dall’Associazione Il pozzo e il pendolo.


Questo spettacolo propone una rilettura tutta al femminile della famosa tragedia greca, dove a farla da padrone erano gli uomini e il loro punto di vista. Le due attrici hanno deciso di dare voce alle figure muliebri che rivestono tradizionalmente una funzione ancillare nell’ambito della storia, private della possibilità di parlare. Ridotte al mutismo e rinchiuse in una gabbia, all’interno di stereotipi, guidati da pregiudizi.

Qui la prospettiva è del tutto ribaltata. Infatti, sono solo le donne ad avere la parola, mentre Odisseo, il grande protagonista, non si vede mai.

Si allude solo a lui – che la guerra non ha spezzato, ma ha reso solo piú simile a sè stesso – ma non fa mai il suo ingresso in scena. Mentre gli attori comprimari – da Filotea, l’ancella di Penelope che la aiuta a vestirsi prima del matrimonio, fino al padre, che la consegna in sposa – hanno il volto ricoperto da una maschera. Si tratta delle tipiche maschere greche, con le espressioni, come il pianto o il sorriso, in evidenza.

UNA LETTURA INTIMA

Abbiamo voluto rappresentare – sottolinea Titti Nuzzolese – una visione intima delle due donne. Abbiamo voluto restituire loro una voce che non hanno mai avuto. Inizialmente queste donne, pur nella distanza, sono nemiche, combattono e si accapigliano. Alla fine, anche se purtroppo tardi, perché Penelope è già morta, si guardano finalmente negli occhi e riconoscono nello sguardo dell’altra, la medesima sofferenza“.

Richiamando le parole delle attrici, comprendono che avrebbero potuto vivere una vita diversa se avessero avuto più coraggio o se fossero state più sostenute dall’esterno. Se avessero vissuto la propria vita all’insegna della solidarietà femminile e non della rivalità, dello scontro. In loro c’è un uno sguardo rivelatore che attiva un processo di rispecchiamento e di riconoscimento reciproco. La scena si svolge in un luogo non luogo – potrebbe essere un altrove o qualsiasi posto – in un tempo fuori dal tempo.

La chiave di lettura è contemporanea: si sono volute avvicinare queste donne antiche, in realtà molto attuali nel loro messaggio, alle donne di oggi che sperimentano la medesima condizione esistenziale. Il grido di sofferenza è lo stesso, generato dall’essere rinchiuse in un ruolo.

Si tratta di uno spettacolo scritto a quattro mani – continua Titti Nuzzolese -. La regia è circolare. La scenografia è ridotta al minimo. Tutto è affidato alle parole e alle espressioni delle donne“.

SPAZIO ALLA MUSICA

Un’altra protagonista possente è la musica elettronica, realizzata da Francesco Santagata, che si è specializzato nelle studio delle musiche greche antiche, ma ha voluto conferire loro vibrazioni contemporanee,

Attraverso la musica elettronica – racconta Roberta Misticone – viene conferito un particolare pathos alla scena in cui si parla della guerra di Troia. Ognuno di noi ha declamato una frase in diverse lingue, in italiano, in ucraino, in swahili, in africano, a indicare che le guerre sono accomunate dalla stessa disperazione e dalla stessa inutilità in qualunque luogo e in qualunque tempo”
La Grecia antica diviene l’Ucraina martoriata. Quest’ultima richiama l’Africa dilaniata e così via.

IL RICHIAMO AL TEATRO ANTICO

Il ricorso alle maschere, come sottolinea Titti Nuzzolese, si incardina su una scelta scenografica, estetica e registica ben precisa e rimanda alla temperie del teatro greco, in cui si ricorreva alle maschere per esprimere gli stati d’animo e dove non era celato niente. Non vi era una cesura tra scena e retroscena: l’anfiteatro era un luogo totalmente aperto e quindi permeabile agli sguardi del pubblico.

SONO LE NOSTRE IMPERFEZIONI A RENDERCI VIVE

Questa rappresentazione ha avuto una genesi di ben un anno ed è il primo spettacolo completamente realizzato, anche come scrittura dei testi, da parte di questa compagnia al femminile composta da Roberta Misticone e Titti Nuzzolese, che reca un nome che è frutto di una fusione tra la lingua italiana e quella inglese. Im/perfetta e I’ am perfetta: un gioco di parole che esprime il concetto che ciò che ci rende perfette, alla fine, sono proprio le nostre paure, i nostri difetti.

Sono le nostre imperfezioni che ci rendono vive, non cristallizzate, davvero noi stesse.E’ proprio quello che scopre la stessa Circe che è rappresentata come una donna forte, volitiva, capricciosa, ma anche annoiata e stanca. Racconta Roberta Misticone che la dea – maga ammette sconsolata che i limiti della sua vita sono rappresentati dai confini della sua isola. Solo che, mentre la sofferenza di Penelope è ormai giunta al termine – non a caso l’ncontro ipotetico si svolge in un luogo non-luogo, forse nella testa di una delle due donne – e lei adesso è libera anche dai suoi doveri etero – imposti, Circe è condannata all’immortalità.

La sua sofferenza non finirà mai, anzi lei è condannata a sopravvivere a chi ama, soprattutto a suo figlio.Circe comunque capisce che la vera vita comincia quando ci si abbandona ai propri sentimenti e alle proprie fragilità.

Quindi quando il corpo e l’anima pulsano per amore, anche se ci si espone al rischio dell’abbandono, come capita a lei.

Le due donne sono accomunate anche da un destino di isolamento: all’interno del palazzo per Penelope e all’interno dell’isola, dove viene esiliata per punizione dal padre, per Circe. Schiavizzate entrambe da desideri e da scelte maschili, che ne scrivono il destino in base ai loro capricci.

UNA RICOSTRUZIONE INTENSA E VEROSIMILE CON UN LINGUAGGIO CONTEMPORANEO

Ci siamo immerse nella vita, nei sentimenti, nelle fragilità, di queste donne – spiegano – attraverso lo studio capillare del testo classico, ma anche di vari riletture contemporanee, dalla Miller all’Oliva, passando per la Atwood. Il resto lo abbiamo immaginato, anche attraverso il ricorso a un linguaggio contemporaneo“.

Come sottolineano le protagoniste affinchè queste donne antiche riuscissero a parlare alle donne contemporanee si è optato per un linguaggio semplice, moderno, minimale, perché non si voleva che il lessico classico fosse un elemento di allontanamento, di appesantimento, di cesura.

UN VIAGGIO NELLA QUESTIONE DI GENERE

Il mio excursus attraverso alcuni personaggi femminili, Frida, Artemisia e ora Penelope – sottolinea la Nuzzolese – è implicitamente legato a un mio progressivo avvicinamento, con il raggiungimento della maturità emotiva, alla questione di genere, che oggi mi è particolarmente cara e che influenza le mie interpretazioni. Quando ero più giovane ero più influenzata da altri elementi del racconto, mentre oggi questo aspetto prevale sugli altri. Infatti l’Artemisia di oggi è molto diversa da quella di 7-8 anni fa”.

Circe, poi, è sí una donna dipinta come capricciosa, ma anche colei che fa giustizia dei torti e degli abusi subiti dalle altre donne, che siano umane o ninfe.

Chi ha violato o attentato alla virtú di una donna viene trasformato in maiale, mentre chi si è dimostrato più gentile diventa un animale esotico. In questo caso, vige una sorta di legge del contrappasso, una sorta di giustizia, di pietas, con un punto di vista femminile che ribalta la prospettiva.

Allora un grosso in bocca al lupo a queste due coraggiose ed affiatate attrici e alla giovanissima compagnia Im/perfetta.

Share This:

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Cultura a Colori