HOMETEATRO

Le donne sono mostri: al Tram la potenza archetipica femminile. L’intervista a Marina Salvetti

Fino a stasera, domenica 26 novembre , alle ore 18:00, andrà in scena al Teatro Tram “Le donne sono mostri”. Lo spettacolo, realizzato in collaborazione con il Teatro dell’Osso, è scritto da Marina Salvetti. La mise en scène, inserita nel focus Classico contemporaneo, è affidata alla regia di Angela Rosa D’Auria, che arricchisce la narrazione con la sua peculiare sensibilità,  e vede sul palco l’interpretazione potente di Roberta Astuti, Sara Giglio, Valeria Impagliazzo, Roberta Lista.

L’INTERVISTA

Ne abbiamo parlato con l’autrice, Marina Salvetti

D. Da quale percorso di ricerca sulle fonti trae origine lo spettacolo?

R. Innanzi tutto dall’esperienza personale, che ci accomuna tutte, accompagnata da una vera e propria ricerca personale che trae le mosse da ciò che solitamente si verifica quando una donna non rappresenta il modello standard: siamo perlopiù tutte incasellate nel ruolo di figlia, moglie compagna. Poi ho intercettato, quasi per caso, il libro Il mostruoso femminile di Jude Ellison Sady Doyle e Laura Fantoni, che riflette sulle estrinsecazioni del patriarcato attraverso un processo di mostrificazione delle figure femminili. Donne che gli uomini non riescono a ricondurre sotto il loro controllo.

D. Quali sono le figure archetipiche rappresentate?

R. Si tratta di figure evocative, fortemente radicate nell’immaginario collettivo della cultura occidentale, ma non solo. Il fil rouge che rinveniamo è che nelle varie narrazioni l’uomo che si esprime anche attraverso una forza bruta, usurpatrice o manipolativa è considerato un eroe dalla comunità, mentre la donna, a parità di comportamenti, assume subito una connotazione negativa: è una figura da temere per quel microcosmo di senso e significato. Le streghe, infatti, altri non erano che donne che hanno avuto il coraggio di deviare dagli schemi imposti dallo status quo. Spesso donne medicina che conoscevano il potere curativo delle erbe o semplicemente donne che sapevano leggere e scrivere. Qual era la loro colpa che terrorizzava gli uomini? Semplicemente quella di poter sottrarre le altre donne al loro controllo attraverso la conoscenza. Ancora oggi, per esempio, per la cultura africana le donne che hanno particolari conoscenze sono considerate streghe: verso di loro l’atteggiamento è ambivalente. Fin quando sono utili vengono accettate dalla comunità, ma appena accade qualcosa reputato strano o anomalo, come la morte di un bambino in culla, vengono immediatamente additate e allontanate dal villaggio. Poi abbiamo la vampira, che si rifà alla tradizione narrativa dei mostri ematofagi, molto precedenti al Nosferatu ottocentesco. Si tratta delle lamie: donne – folletto belle e tentatrici, in grado di succhiare il sangue agli uomini e, metaforicamente, anche i loro soldi e la stabilità economico-finanziaria. Immancabili le Sirene, che blandiscono Ulisse con il loro canto, con lo scopo di condurlo alla pazzia e di far infrangere la sua nave contro gli scogli. Inevitabile il parallelismo con Napoli, città spesso non compresa, che va a sbattere contro il muro del pregiudizio. Per chi, però, abbia il coraggio di andare oltre le apparenze, dietro l’angolo vi sono innumerevoli bellezze che si disvelano ai suoi occhi. L’alter ego della Sirena è, in qualche modo, l’Arpia, una donna che ha potere, lo esercita ed è consapevole di come farlo.

D. Come si è evoluto lo spettacolo dal suo esordio?

R. Questo spettacolo è nato nel 2022 mei giardini di Napoli, concepito outdoor in versione itinerante. Via, via, quindi, lo spettatore poteva incontrare i vari “mostri” che, in solitaria, raccontavano la loro storia attraverso quattro monologhi. Oggi lo presentiamo in una versione indoor, dove le attrici sono compresenti sulla scena. E’ stato, quindi, necessario creare una cornice narrativa, in un mix di dialoghi e monologhi fuzionali alle protagoniste per raccontare ognuna la propria storia. Le parole si fondono con la musica pop degli anni ’80 in un continuo rimando tra i significati espressi e i significanti (le stesse donne), uniti da un rapporto di sorellanza e le cantautrici artefici delle canzoni costituiscono una sorta di alter ego delle donne in scena. Non si tratta di uno spettacolo “arrabbiato” né di un’accusa violenta contro gli uomini, bensì di una rappresentazione dialogante, dove le figure muliebri chiedono di poter esprimere e rivelare chi siano davvero, dialogando con sé stesse e con il pubblico, in un tentativo di esorcizzare la paura. Non vi è contrapposizione tra i generi, bensì lo scopo di farsi domande insieme, domande che sono improrogabili, perché siamo già in ritardo.

D. In questa temperie storico – sociale qual è la forza del linguaggio teatrale e il suo tratto distintivo?

R. Il teatro coniuga la forza della parola che – attraverso determinate espressioni può essere alla base di una vera e propria rivoluzione culturale – e quella evocativa delle immagini e del linguaggio del corpo. Il teatro non deve solo raccontare storie che ci permettano di evadere, ma anche rappresentarci e farci fare i conti con la realtà. Lo fa con una grande forza evocativa collettiva. Infatti gli attori rappresentano un tutt’uno con il pubblico. Un’unica componente. Un unico respiro. E’ un flusso di emozioni e di energie: non esiste la famosa quarta parete come al cinema.

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