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Valerio Bruner e il suo My wild love: cuore di donna in tempo di guerra

Valerio Bruner propone l’8 e il 9 ottobre alla Casa della Musica / Complesso Palapartenope My wild love: cuore di donna in tempo di guerra. Un omaggio al cuore, inteso come coraggio e strenua resistenza, delle donne in un tempo che è sempre di guerra e mai di pace, perché per fronteggiare chi le vorrebbe perennemente sottomesse e consenzienti non si può mai abbassare la guardia.

La donna, motore del mondo, ma tanto è spesso discriminata.  Valerio Bruner come hai ideato questo progetto?Volevo spingermi oltre. Dopo Rock City Nights, l’ultimo spettacolo a cui ho lavorato, mi sono reso conto di come il mio storytelling avesse iniziato a tendere, in maniera più spiccata, verso l’universo femminile. Protagoniste, dichiarate o meno, dello spettacolo erano infatti tre donne apparentemente diverse tra loro, ma che in realtà risultavano unite dal medesimo filo conduttore: strappare migliori condizioni ad una vita per loro già confezionata. Ne ho parlato con la mia compagna, Federica, e suo è stato il suggerimento di mettermi nuovamente in gioco, stavolta da solo, in uno spettacolo interamente dedicato al mondo femminile, che parlasse di donne dal punto di vista delle donne.

Le tue canzoni inedite sono state scritte pensando a questo progetto o sono indipendenti?

Le canzoni esistevano da prima. Nel mio primo album, Down The River, le donne erano la scintilla da cui nascevano le canzoni, ma le storie erano quasi tutte narrate da un punto di vista maschile. In quelle successive, che avevo iniziato a scrivere durante e dopo le registrazioni, le donne ne sono diventate le protagoniste indiscusse. Il prossimo disco, che dovrebbe vedere la luce quest’inverno, sarà infatti dedicato interamente a loro.

Le autrici da te scelte hanno una connessione tra di loro?

Ho scelto delle autrici che ho studiato ai tempi dell’università e che ho approfondito per conto mio, tra queste Angela Carter e Assia Djebar. Partendo da Una stanza tutta per sé di Virginia Woolf, le autrici che ho scelto si ritrovano ad essere tutte connesse tra loro, esprimendo ognuna il significato ultimo della libertà e indipendenza individuali di una donna in un mondo di uomini, per citare una canzone famosa.

Come definisci la tua musica?

Una volta feci ascoltare alcune canzoni ad una persona e la prima cosa che mi disse fu come ognuna di esse gli rimandasse all’idea del viaggio. Lo definì travel rock. Una definizione che mi calza a pennello. 

A quale pubblico pensi progettando uno spettacolo come questo?

Penso a un pubblico eterogeneo, sia in termini di età che di sesso. Il discorso sull’emancipazione e l’indipendenza delle donne è tuttora estremamente attuale e riguarda ognuno di noi, perché ognuno di noi, in particolare la nuova generazione, ha il dovere di scardinare definitivamente il retaggio maschilista di cui è ancora intrisa la società. Non è retorica, i segni di questo retaggio ci sono e sono tangibili nella quotidianità, in quelle piccole cose che appaiono innocue, innocenti ma che in realtà nascondono un male profondo. Le donne non hanno mai smesso di lottare per affermare dei valori che dovrebbero essere ormai ampiamente affermati. Questo è il mio personale ed umile contributo verso qualcosa di più grande ed in cui credo fermamente.

 

Napoli e la musica o è meglio dire il mondo e la musica? 

Napoli, il mondo e la musica. Questa città in fondo è, per molti aspetti, la culla della civiltà che nei secoli ha navigato le acque del Mediterraneo e toccato l’Africa, la Grecia, la Spagna, il mondo arabo e quello occidentale in una meravigliosa mescolanza di suoni, colori, profumi e vite umane.

 

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