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Al via la messa in scena di “C’è del pianto in queste lacrime” al San Ferdinando

di Sonia Sodano

Metafora nella metafora, dove la sceneggiata si innesca in un microcosmo onirico dai toni dark. “C’è del pianto in queste lacrime” è l’opera andata di scena al San Ferdinando di Napoli il 13 ottobre in replica sino al 18 dello stesso mese. La drammaturgia è di Antonio Latella e Linda Dalisi per la regia dello stesso Latella. Lo spettacolo reduce dal premio “Le Maschere del teatro italiano 2013” per miglior scenografo e costumista, trasporta il pubblico in un’atmosfera dai toni essenziali, ma rigogliosi per fantasia. Nell’insieme degli elementi, i personaggi sono egli stessi parte integrante di una scena che si sviluppa su due piani distinti. C’è la parte total blak in basso, che risucchia il colore, nutrendosi di luce in cui è posta la figura narrante. L’intera vicenda è un’idea che si materializza mediante la volontà del narratore ed interprete, nonché unico vero conoscitore dei fatti. I suoi ricordi si ripetono, materializzandosi in modo cadenzato, dove gli altri personaggi si muovono e parlano recitando come una cantilena piena zeppa di luoghi comuni e modi di dire tipici della tradizione partenopea. La figura narrante esprime le proprie emozioni attraverso il ricordo che nasce dal basso, per lasciare che tutto si svolga, sotto il suo controllo, nella nuvola illusoria, appena sopra di lui, creata grazie ad un sovra-palco. La scena doppia dona allo spettatore anche un gioco di ombre riflesse proiettate ai due lati del palcoscenico.

Il narratore inoltre, si muove anche per mano e bocca degli altri personaggi che vivono sul sopra-palco. Gli interpreti paiono mere illusioni, rappresentati come insetti, che si cibano dei ricordi di chi narra, gli stessi insetti che mangiano il cuore di chi ha vissuto la sceneggiata. Tutto lo spettacolo, sembra volgere lo sguardo ad un pesante rifiuto della realtà. Presenti inoltre, molti degli elementi tipici della sceneggiata napoletana. Non solo i chiari riferimenti a Mario Merola, da sempre considerato il re del genere, ma anche riferimenti a vicende tipiche che si intessono nella trama. Non manca la costante di “isso, essa e o’ malament'”, né il ruolo della pecora nera della famiglia, che diventa un vero e proprio delinquente amato dalle donne e temuto da tutto il quartiere…

Nella drammaturgia la ripetitiva di alcuni schemi tende a spezzare il ritmo della storia, distraendo a singhiozzo lo spettatore. Spesso le battute più interessanti, che dovrebbero susseguirsi, sono spezzate dalla maniacale voglia di dimostrare al pubblico che la metafora continua. Il lavoro di forte qualità stilistica, pecca tuttavia, nella lungaggine di parole che potrebbero essere abolite. Note positive sono da ascrivere alle competenze artistiche di molti attori, grazie alle quali la visione diviene gradevole. Appunto importante è la volontà di portare in scena una “sceneggiata” che abbia il sapore di casa nostra, ma che racchiuda in seno il senso della scoperta, dell’innovazione e della voglia di evoluzione. Un’idea geniale che se fosse stata sviluppata con meno voluttà accademica, avrebbe regalato frutti ben più vasti ad un lavoro comunque molto apprezzato dalla critica.

Un’opera che potremmo definire a tratti ermetica, non adatta ad un pubblico eterogeneo e che si affaccia ingenuamente al mondo del teatro. Uno spettacolo più adatto agli addetti ai lavori ed ai conoscitori nonché estimatori del panorama teatrale.

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