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Il “carattere” della cucina romana e un buon vino “moderatore”

Le osterie romane, quelle veraci, meravigliosamente “pop” (D’Annunzio scrisse una prefazione al volume di Hans Barth, uscito nel 1909 e dedicato alle Osterie d’Italia, svelando il suo divertimento per il “Bettolino degli Svizzeri”, a pochi passi dal Vaticano ) e sorprendentemente romantiche (come quella immortala dal Conte Primoli: l’Osteria del tempo perso) sono, purtroppo, in via di estinzione.

Mentre a Venezia, Firenze, Torino, intellettuali e artisti si riunivano nei caffè letterari, a Roma le osterie sostituivano questi luoghi attirando poeti, pittori, fotografi, etc. Oggi purtroppo al loro posto nascono come i funghi i wine bar, meno autentici, meno attenti all’offerta gastronomica, quasi per niente lungimiranti in fatto di “qualità enologica” (quando, invece, è proprio intorno al nettare degli Dei che si è sviluppata tutta la cultura delle osterie).

Resta il fatto che la cucina romana classica è sempre piaciuta, il pianeta la adora. I romani purtroppo non se ne accorgono. Per fortuna ci sono dei valorosi gladiatori del gusto che hanno esportato il “modello osteria” al di fuori dei confini laziali e, addirittura, italiani. Ad esempio in quel di Torino (precisamente lungo il centralissimo corso Regina Margherita) lo chef Danilo Pelliccia ha messo su “Dù Cesari”, unico ristorante di cucina romana in città. Una grossa lavagna con il menù del giorno scritto a mano, robusti tavoli in legno apparecchiati con le tovagliette, i ritratti di Anna Magnani e Alberto Sordi (e uno dello chef travestito da gladiatore, immagine che lascia intuire quanto lui sia legato alla Capitale): non manca nulla affinché questo posto possa essere considerato un’osteria… Carbonara, amatriciana (fatta col il pomodorino giallo del Vesuvio), cacio e pepe,  agnello alla scottadito: sono solo alcuni dei tantissimi piatti elencati nel  menù. Niente tarocchi, Danilo utilizza solo ingredienti d’eccellenza: il pecorino è quello romano, la pasta è quella di Gragnano, la porchetta è quella di Ariccia… E i vini  – oltre 100 etichette – sono per il 90% di origine laziale (come quelli dell’azienda di Gianmarco Tognazzi, figlio di Ugo).

Nell’ambito di un pranzo o di una cena è quasi impossibile abbinare ogni singola portata ad un vino a meno che il pasto in questione non sia stato strutturato come una degustazione verticale di vini… Una volta individuate le portate, bisogna perciò individuare uno, al massimo due vini, che possano degnamente accompagnarle (tale discorso non vale ovviamente per i dolci, a cui va sempre abbinato un vino dolce). Se si sceglie, ad esempio, di mangiare una sostanziosa amatriciana come primo e le costolette d’agnello alla scottadito come secondo, un vino che potrebbe “moderare” le due preparazioni dovrebbe essere un rosso  capace di contrapporre la tendenza dolce e la grassezza del primo piatto, con una giusta dose di sapidità e tannini morbidi, che allo stesso tempo bilanciano la succulenza del secondo piatto.

Un esempio? “Antani” (dell’azienda “La Tognazza”, di Velletri), un vino dall’animo rock, strutturato e dal carattere deciso, ottenuto da uve Syrah e Sangiovese. Si presenta con un colore rosso rubino, dal naso importante, con sentori ammalianti di frutta scura (prugna rossa, frutti di bosco) e una speziatura dolce di pepe nero, chiodi di garofano e cannella, con sfumature di una leggera tostatura vanigliata. Al palato evidenzia buona tannicità e freschezza per l’equilibrata acidità. E’ rotondo, caldo, ampio, di medio corpo e mai troppo pesante.

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