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Giornata della Memoria: Liliana Segre ed il valore della memoria

Settantacinque anni fa, le truppe dell’Armata Rossa liberavano i sopravvissuti del campo di sterminio di Auschwitz (Oswiecim in polacco) e toglievano il velo all’orrore dell’Olocausto. La senatrice Liliana Segre, testimone della Shoah, parla del valore della memoria.

Liliana Segre è un’attivista e politica italiana, superstite dell’Olocausto e attiva testimone della Shoah italiana. Nata a Milano in una famiglia ebraica, visse col padre, Alberto Segre, e i nonni paterni, Giuseppe Segre (affetto da una grave forma di malattia di Parkinson) e Olga Loevvy. La madre, Lucia Foligno, morì quando Liliana non aveva neanche compiuto un anno. Di famiglia laica, Liliana ebbe la consapevolezza del suo essere ebrea attraverso il dramma delle leggi razziali fasciste del 1938, in seguito alle quali venne espulsa dalla scuola che frequentava. Dopo l’intensificazione della persecuzione degli ebrei italiani, suo padre la nascose presso degli amici, utilizzando documenti falsi. Il 10 dicembre 1943 provò, assieme al padre e due cugini, a fuggire a Lugano, in Svizzera: i quattro furono però respinti dalle autorità del paese elvetico. Il giorno dopo, Liliana Segre venne arrestata a Selvetta di Viggiù, in provincia di Varese, all’età di tredici anni. Dopo sei giorni in carcere a Varese, fu trasferita a Como e poi a San Vittore a Milano, dove fu detenuta per quaranta giorni. Il 30 gennaio 1944 venne deportata dal binario 21 della stazione di Milano Centrale al campo di concentramento di Auschwitz-Birkenau, che raggiunse dopo sette giorni di viaggio. Fu subito separata dal padre, che non rivide mai più e che sarebbe morto il successivo 27 aprile. Il 18 maggio 1944 anche i suoi nonni paterni furono arrestati a Inverigo (provincia di Como); dopo qualche settimana anche loro vennero deportati ad Auschwitz e uccisi al loro arrivo, il 30 giugno 1944. Alla selezione, Liliana ricevette il numero di matricola 75190, che le venne tatuato sull’avambraccio. Fu messa per circa un anno ai lavori forzati presso la fabbrica di munizioni Union, che apparteneva alla Siemens. Durante la sua prigionia subì altre tre selezioni. Alla fine di gennaio del 1945, dopo l’evacuazione del campo, affrontò la marcia della morte verso la Germania. Venne liberata il primo maggio 1945 dal campo di Malchow, un sottocampo del campo di concentramento di Ravensbrück che fu liberato dall’Armata rossa. Dei 776 bambini italiani di età inferiore ai 14 anni che furono deportati ad Auschwitz, Liliana fu tra i 25 sopravvissuti.

I 75 anni della Liberazione di Auschwitz per me hanno un significato molto particolare perché io non ero lì, ad Auschwitz, il 27 gennaio, quando i russi sono entrati e hanno scoperto quell’orrore. Io già da giorni stavo facendo la cosiddetta ‘Marcia della morte’ che durò mesi. Ho letto dopo la guerra che fummo quasi in 56.000, noi prigionieri dei vari campi, obbligati dai nazisti a lasciare quei luoghi dove stavano arrivando i russi. Quel giorno del 1945 quindi non ero lì: ero su una strada polacca, o su una strada tedesca, che mi trascinavo sulla neve, cercando di farcela ad andare avanti per non morire. Quando sono stata liberata io, ormai era primavera avanzata. Era la fine di aprile, forse i primi di maggio. Sulla Liberazione di Auschwitz ho letto solo in un secondo momento, quando sono tornata alla vita cosiddetta ‘civile’. Trovo giusto, però, che quella data sia diventata un simbolo: sicuramente è un modo per fare memoria, è un modo perché nelle scuole si insegni – non so per quanto ancora – che cosa è avvenuto in quel luogo che è stato il peggiore fra tutti i campi di sterminio, se è possibile fare una graduatoria.” Racconta Liliana Segre in un’intervista.

Ai sentimenti di xenofobia che oggi sembrano di nuovo abbastanza diffusi in Italia e in Europa risponde: “Io sono stata considerata ‘diversa’, a causa delle leggi razziali fasciste, quando avevo 8 anni. E quindi so come ci si sente a essere considerati ‘diversi’, quando invece ci si sente così ‘uguali’. Quindi è ovvio che con grande preoccupazione seguo, da anni, questo riaffacciarsi di sentimenti odiosi che sono il contrario dell’accoglienza, che sono il contrario della fraternità. Sì, devo dire che sono molto preoccupata di questa onda, che non è anomala ma è il risultato della crisi economica, ma anche il risultato di insegnamenti molto sbagliati, di sovranismi e populismi che hanno fatto in modo che l’uomo e la donna comuni abbiano paura del loro vicino.”

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