HOMETEATRO

Ivanisevic e la Balena Bianca: a Sala Ichos la sfida di un uomo alle sue ossessioni

A Sala Ichòs prosegue la stagione estiva con “Ivanisevic e la Balena Bianca” di Fede Torre che ne cura testo, regia e adattamento.

Con lui Lucio Celaia, che presta sembianze, carne e sangue al protagonista.

La storia, secondo quanto racconta l’autore, è quella di Ivanisevic, un tennista sloveno poi naturalizzato croato, che per ben tre volte tenta la vittoria  sul campo iconico di Wimbledon, ma fallisce.

Ormai sul viale del tramonto della sua carriera decide di accettare l’ultimo invito, per rispetto delle precedenti finali.

Quasi per caso… avviene la svolta.

Il titolo allude al capolavoro di Melville. La balena bianca altri non è se non l’ossessione del protagonista per l’agognata vittoria,

Lui crede di combattere contro un acerrimo avversario ma in realtà si guarda allo specchio e si ritrova in guerra contro sè stesso.

Anche il suo avversario in carne e ossa capisce di essere estraneo alla vicenda, di esservi capitato quasi per caso e  di essere, in qualche modo,  stato risucchiato in una dinamica conflittuale e intestina.

“Il protagonista  – spiega l’autore e regista – lotta contro sè stesso e la sua ossessione. Al contrario di Achab con Moby Dick lui non ne viene travolto, ma finisce per farci amicizia. Non trova la pace perchè supera la sua ossessione, ma la incontra nella vittoria. La vittoria, però, risulta secondaria: non è la cosa più importante. L’aspetto nevralgico  è analizzare come in lui arrivi la pace. Come venga raggiunta la quiete tra l’uomo e la sua ossessione“.

La sua storia potrebbe essere la storia di ognuno di noi: quella di come un desiderio, un sogno, un obiettivo si traformi in un’ossessione che noi inseguiamo fino allo sfinimento con cieca ostinazione. II rusultato è che la manchiamo per un pelo. Anche lui sbaglia,  cade, ma si rialza. Sbaglia meglio, fin quando non riesce a soddisfare  il suo tarlo interiore. Ma, come troppo spesso accade, solo per passare all’ossessione successiva.

Wimbledon, secondo quanto sottolinea Fede Torre, diventa metafora dell’agone della vita, così come del palco di un teatro. I protagonisti sono dei novelli gladiatori che escono dal tunnel per entrare nell’arena, mentre vengono osannati dal pubblico.

Il pubblico – ribadisce l’autore –  ha un ruolo fondamentale perché senza il suo incitamento e il suo sostegno non si avrebbe lo stesso effetto scenico. Questa sfida, questa partita, non è nient’altro che una danza, che si svolge entro un luogo simbolico ben situato, delimitato attraverso alcuni strumenti.  E’ una danza caratterizzata dai colpi inferti alla pallina dalla racchetta. Mentre costruivo la scena, assieme all’attore, mi sono immaginato più come un coreografo che come un tennista“.

La riflessione ruota attorno alla spinta ad agire, rimanendo fedeli a sè stessi, secondo le parole di Torre,  mentre si percorre la propria strada, dove si incontreranno dei desideri che diventeranno ossessioni. Solo incappando in esse, però, bisognerà necessariamente ed inevitabilmente farci conti e alla fine probabilmente, e con un po’ di fortuna, ci si farà pace.

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