HOMETEATRO

Medea: al Tin la forza e la pazzia di una donna sradicata e rinnegata

Medea, con la regia di Gianmarco Cesario, rappresenta un viaggio nel viaggio, nel cuore umano e nel cuore di Napoli, dov’è ubicato il Teatro Instabile. Stasera, sabato 23 settembre, alle ore 20:00, un nuovo appuntamento con quest’intenso spettacolo.

Il viaggio inizia prima di scendere in un ipogeo davverro suggestivo. Ci si inerpica lungo le stradine e si arriva a Vico Purgatorio ad Arco 38.

Prima c’è il folklore delle piazze, con le bancarelle varopinte, della musica da strada o che fuoriesce dai locali, delle pizzerie e dei locali, alcuni dei quali vogliono raccontare in maniera ostinata e, a volte, ostentata, l’atmosfera partenopea, condita da manciate di frammenti di cultura e di storia.

Una città stratificata, eretta sulle sue molteplici e multiformi  espressioni culturali e le sue contraddizioni, spesso consapevole delle sue potenzialità, ma che non riesce ad affrancarsi dalle sue ombre.

Arrivati alla Chiesa delle Anime del Purgatorio, in corrispondenza dell’arco contraddistinto dalla presenza della testa di Pulcinella, c’è il Teatro Instabile di Napoli, rinato a nuova vita grazie all’impegno e alla caparbia tenacia di Gianni Sallustro.

Nasce da una chiesa e dalle Segrete di Palazzo Spinelli. Le pietre a vista, il soffitto a volta e le quinte purpuree rendono l’atmosfera a tratti mistica. E poi  i palchetti – che consentono di affacciarsi sul mondo che viene rappresentato, sulle sue virtù e miserie, di guardarle da un’altra prospettiva, così come le sedie disposte sui gradini a differenti altezze.

Tutto richiama un contemporaneo che non dimentica le sue radici, la sua cultura antica.

LO SPETTACOLO 

Lo spettacolo Medea rientra nella rassegna In-stabilestate che ha preso il via lo scorso primo settembre al teatro Tin, con la direzione artistica di Gianni Sallustro, a cura della Talentum production di Marcello Radano, dell’Accademia vesuviana del teatro e del cinema e del teatro Instabile Napoli.

La regia è di Gianmarco Cesario. La tragedia – che si rifà alle versioni di Euripide e Seneca –  è ambientata in una sorta di non luogo. Potrebbe essere la città di Corinto, che viene nominata espressamente, o un paesino della Trinacria, richiamata dai canti in lingua siciliana e dall’abbigliamento del coro. Una serie di donne giovani e meno giovani vestite a lutto. Gli occhi segnati da occhiaie scure e profonde e dal trucco sciolto dal pianto per le persone e i sogni persi, per i sacrifici e gli stenti, per le troppe parole non dette, per gli sguardi forzatamente bassi, per le amarezze e le consapevolezze ingoiate.

In scena  Rosalba Di Girolamo, Gianni Sallustro, Nicla Tirozzi, Ciro Pellegrino, Tommaso Sepe, Stefania Vella, Nancy Pia De Sinone, Roberta Porricelli, Noemi Iovino, Carlo Paolo Sepe, Lucia Saviano, Sara Ciccone, Domenico Nappo, Enrico Annunziata e con Giovanni Menna e Rachele Ambrosio. Un lavoro corale, dove gli attori primari e comprimari si passano il testimone, in un ritmo ansiogeno di crescente tensione. Risultano tutti affiatati e tutti ugualmente necessari a costruire e a raccontare il dramma di una donna che –  posseduta dal demone delle passioni –  ha tradito e rinnegato la sua patria e la sua famiglia.

Una donna che forse si sentiva un’estranea già in patria, a causa della sua intelligenza indomita, della sua furbizia e della sua cultura che l’hanno portata a mettere in discussione regole senza tempo e a discutere alla pari con gli uomini, solitamente signori e padroni della struttura sociale.

Perché è di una società patriarcale e maschilista di cui parliamo, dove a decidere i destini di tutti è sempre il Pantheon maschile.

Gli uomini sono dipinti come dei trapper (da trap: rap duro e estremo) con monili a vista e catene gioiello al collo.  Novelli figli di valori e disvalori legati al denaro, che rifuggono uno stile di vita fatto di sacrifici, tipico dei loro genitori e dei loro avi. Desiderosi di raggiungere posizioni di potere e al servizio del mantenimento dello status quo,  rappresentato dal guadagno e dalle convenienze. Per il personaggio di Giasone, la versione senechiana e quella euripidea si incrociano a un crocevia: questo antieroe, infatti, è rappresentato come un uomo bugiardo e vigliacco.

E’ animato da mera convenienza, che lui vuole far passare come fedeltà ai voti coniugali, in nome di un bene superiore, quello della sua famiglia e dei suoi figli, ma è anche un uomo preoccupato dalla furia cieca della moglie Medea e dal destino infausto della sua progenie.

Non si sa se questa preoccupazione sia genuinamente legata al desiderio di proteggerli per un affetto sincero o al desiderio narcistista ed egoistico di preservare il suo strumento di proiezione nel futuro.

Medea domina la scena con forza e carisma. Il suo dolore, che si trasforma in rabbia e sete di vendetta, affascina e avvince. Le sue grida, i suoi sapienti cambi di tono – la storia che ella narra, caratterizzata da omicidi e nefandezze – atterriscono e muovono compassione parallelamente.

E’ una reietta e una marginale, perchè considerata una donna impura, selvaggia e barbara. Una straniera isolata da tutti ma che, orgogliosamente, si rifiuta di cedere alla disperazione.

Nutre il suo desiderio di vendetta contro i nemici che la deridono. Ammette di essere posseduta dalla passione, prima quella d’amore per lo sposo –  che l’ha portata ad uccidere il fratello –  e poi quella sanguinaria –  che la porterà ad uccidere i figli. E’ consapevole che questa scelta condannerà lei a un dolore mille volte più grande e tormentoso  di quello di lui, ma ciononostante non si può sottrarre al suo destino.

In qualche modo, vuole anche risparmiare ai figli lo strazio di essere considerati parte di una famiglia di second’ordine perché, come chiarisce il coro, la nuova famiglia è più importante e ha maggiore legittimità di quella antica .

La compassione e la mitezza si affacciano tra le tenebre della pazzia, ma è un attimo: Medea si rende conto che non può concedersi il lusso della pietas, perché vorrebbe dire arrendersi al ludibrio di chi le è nemico e lasciare i suoi figli nelle mani di chi non li merita.

Presa da un delirio di onnipotenza, pur amandoli,  ritiene di essere colei che avendoli generati ha su di loro diritto di vita e di morte. Medea ha pochi amici, anzi ammette di non averne alcuno,  ma trova la solidarietà della sua ancella e del coro delle donne che sentono e comprendono la sua disperazione, generata dal non avere più una famiglia d’origine nè una Patria.

La donna è vittima di un completo sradicamento. Ciononostante queste donne non riescono ad opporsi cncretamente alle decisioni maschili, trasformando la loro solidarietà in azione, nè a porre un freno alla sua rabbia e alla sua ira, evitando il tragico epilogo.

Sono socializzate ad accettare in maniera docile e rassegnata la cultura maschilista. Mantengono gli occhi bassi e l’espressione dolente.

L”interpretazione di Medea è forte e dirompente. E’ indubbio che domini il palco, ma non sarebbe immaginabile lo stesso effetto scenico e narrativo, la stessa intensità, se non ci fosse l’apporto di ogni personaggio, un tassello imprescindibile, uno snodo necessario,  di questa rappresentazione.

Siamo nani sulle spalle di giganti: questo mi è venuto da pensare rispetto alla bravura indiscussa di attori di lungo corso che incoraggiano e danno spazio e supporto ai più giovani e ai giovanissimi, che a loro volta respirano e crescono nutriti dal profumo della cultura, grazie a questo gemellaggio tra antico e contemporaneo.

C’è in Medea una risonanza antigoniana. In più di un’occasione lei invoca la comprensione e il perdono degli dei, addirittura la loro tutela e una sorta di complicità per quella che è una scelta terribile, ma altresì necessaria e inevitabile.  Lei rifiuta e ripudia l’imperfetta e iniqua legge degli uomini e sceglie di appellarsi a quella degli dei ,che sanno chi sia la vera orgine e il colpevole di questo intrico di nefandezze. Lui che è spinto da vili calcoli di convenienza… Ma come si potrebbe preferire la ricchezza e un qualsivoglia agio materiale quando questo comporta tanto dolore? Anche gli spettatori, avviluppati da questa atmosfera e da tanta angoscia, non possono non domandarselo.

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