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Schiavi della solitudine, romanzo dalla potenza seduttiva in chiave ironica della compostezza piccolo-borghese del dopoguerra

Nel 1947 con il titolo di “The Slaves of Solitude”, viene pubblicato uno degli ultimi romanzi scritti da Patrick Hamilton, ad oggi, riproposto con il titolo italiano “Schiavi della solitudine” dalla casa editrice Fazi e inserito nella collana Le strade.

L’opera di simil ambientazione bellica, proposta dall’autore nel dopoguerra, in una fase in cui l’alcolismo aveva fortemente minato la sua salute mentale e fisica, ci racconta la storia di alcuni pensionanti della Rosamund Tea Rooms, ex sala da te, adibita a pensione, nella periferia londinese  di Thames Lockdon.
Lo sguardo della narrazione si proietta in chi legge attraverso la visione di Miss Roach, trentanovenne nubile che lavora come segretaria tuttofare presso una casa editrice londinese, la “Reeves & Lindsell”.
La donna si trova in una fase di inerzia della propria esistenza, mentre abita nella pensione per sfuggire alla centralità di Londra, che fa i conti con la Seconda Guerra Mondiale. Quando incontra il tenente americano Pike sembra accendersi una scintilla nella sua quotidianità e intreccia con lui una relazione romantica, ma al contempo ambigua, intervallata dalle presenze-assenze del compagno. A rendere le cose ancora più complicate si materializza la presenza ingombrante di un’altra donna.
La profuga tedesca, Vicki Kugelmann, inizialmente descritta come un’amica di Miss Roach, rivela le sue vere intenzioni diventando la nemesi perfetta in un triangolo che ha per vertici le due donne e una volta Pike, l’altra un anziano pensionante della Rosamund Tea Rooms.
Altro personaggio molto controverso è, infatti, Mr Thwaites che alleatosi con Vicki non perde occasione per torturare la povera Miss Roach.

L’atmosfera che si respira in questo romanzo è quella spenta di una Guerra che più volte viene citata, facendo da sfondo, ma senza apparire nel concreto. La scrittura di Hamilton è sardonica e cementa un ambiente corale apparente che, invece, rispecchia la filosofia dell’autore inglese già ritrovata in altri suoi scritti, ossia la sgradevole dimensione della solitudine individuale. Un’opera che si fa carico del senso ironico della compostezza piccolo-borghese, con i suoi invalicabili confini sociali.

Una visione drammatica della società, che intimamente analizza l’animo e la psiche di Miss Roach, donna dall’aspetto non invidiabile, che per la società del tempo non ha molto altro da offrire, mentre veste i panni di una anti-eroina dall’impulso debole.
Poi c’è Vicky, ancora piacente che cerca in ogni modo di sfruttare le proprie doti seduttive al fine di entrare nelle grazie degli uomini. La sua è una potente azione prevaricazione seppur dall’apparenza inoffensiva.

Nel tessuto romanzesco e nel monologo interiore l’individuo vive quasi sempre una condizione di scissione, con due o più parti di sé che dialogano in regime di aperta conflittualità, se non addirittura di schizofrenia. In questo senso si potrebbe dire che il dialogo, lungi dal voler favorire l’aspetto comunicativo della conversazione, ne mette piuttosto in luce il potenziale distruttivo.

Gli apprezzamenti dei colleghi scrittori

Nick Hornby ne apprezza la sottile ironia e vede in lui un maestro, Martin Amis, Iain Sinclair e Antonia Fraser si dichiarano suoi estimatori, Doris Lessing spende parole di encomio a suo favore definendo le sue opere veri e propri “romanzi storici” della contemporaneità.

In conclusione

La chiave ironica con cui Patrick Hamilton affronta gli aspetti stravaganti dei suoi personaggi rende il romanzo “Schiavi della solitudine” una lettura molto interessante con capitoli scorrevoli e di piacevole durata. Rosamund Tea Rooms e il pub spesso frequentato dai personaggi risultano essere luoghi “bolla” che allontanano i fatti narrati da un ‘meschino ladruncolo’, così definita la Guerra che incombe sulle teste di tutti.

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