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Il tatto delle cose sporche: poesia carnale e fragile, nascosta in apparente ferocia

Il tatto delle cose sporche di Andrea Gruccia, edito da Milena Edizioni, trascina il lettore nelle atmosfere di una città, Torino, che nella sua crepuscolarità sa essere spigolosa, respingente e oscura, ma parimenti sa accogliere e consolare.

Torino fa da cornice e grembo alle esistenze di vari personaggi, i cui percorsi si incrociano e, a volte, entrano in rotta di collisione, rovinosamente.

TRAMA

Questa potrebbe definirsi come una storia d’amore a tre, attraverso lo spazio e il tempo: tra Rebecca Simone e Giulia. Ma ad esserne protagonisti sono tante sfaccettature della medesima persona, che si riflette negli altri personaggi come in degli specchi, e molti altri co-protagonisti, corpi, sguardi, odori, particolari che ingigantiscono. Ad esserne protagonisti sono persino le piante, che il protagonista ama e che paragona ai corpi ed alle anime femminili che incrocia, di cui esse riproducono odori, sapori e consistenze, anche perché, come sottolinea l’autore, quando ami una persona vuoi fare l’amore con lei con e attraverso qualunque cosa che ti parli della sua essenza. Ed allora può persino capitare che ti ritrovi coinvolto in un tenero amplesso con un gelsomino.

Un romanzo ricercato nel lessico, non solo quello aulico, ma anche quello gergale, dove si percepisce la smania di mettere la parola giusta al posto giusto, rifuggendo dal già letto, in una corsa, a volte affannosa, verso il desueto.

Un testo dove anche il sesso più feroce, potentemente carnale ed occasionale sa tradursi in poesia e delicatezza, descrivendo anfratti del corpo, e parimenti dell’anima, di ogni donna toccata, annusata, intuita.

Una storia, a tratti surreale e claustrofobica, dove le fragilità umane non vengono mai negate, ma a tratti gridate affinché il vuoto, il senso di alienazione e il dolore diventino visibili e palpabili.

Un intreccio di esistenze e disperazioni riflesse in cui nessuno è davvero come sembra tra sprazzi di inaspettata umanità e dolcezza, saldamente ancorate ad un bacino di valori di antica memoria, e frammenti taglienti di falsità e ferocia, capaci di conficcarsi fino in fondo all’anima, lasciando il corpo senza fiato e il cuore ferito e sanguinante, pervaso da un senso di disgusto che resta attaccato addosso.

Un’ambiguità, che è anche un invito ad andare oltre le apparenze e ad entrare dentro le cose, che si ritrova sin dal titolo in cui il tatto, che è sia cerniera tra il nostro interno e l’esterno, sia capacità di trattare l’altro con gentilezza, entrando davvero in comunicazione con lui e con il suo mondo, viene accostato a cose (apparentemente) sporche.

Ora lasciamo la parola all’autore.

L’INTERVISTA

D. Quanto c’è di Andrea in Simone e quanto di Simone è rifluito in Andrea?

R. Sono esattamente la stessa persona, (Simone è anche il mio secondo nome) in questo romanzo avevo voluto fissare un periodo di un lungo amore non corrisposto, e allo stesso tempo, della fine di un rapporto appena finito. Ero innamorato di due donne, e ho cercato di salvare qualche barlume di luce dei sentimenti che provavo. Sapendo che sarebbero spariti. Potevo continuare ad amare scendendo al compromesso di soffrire. Ho aspettato, fedele a quello che provavo, convinto che il solo amare risolvesse tutto. Ma non è servito.

D. Tu parli di sessualità a 360 gradi, che si intreccia al percorso di costruzione identitaria e alla ricerca di un contatto emotivo autentico. Non è mera stimolazione genitale e quindi sesso. Secondo te in un’epoca di intercambiabilità e di relazioni mordi e fuggi quali sono gli spazi di resistenza emotiva rimasti?

R. Parlerei di R-esistenza emotiva. Con il tempo il concetto di relativismo e impermanenza mi è sempre più chiaro. A fare soffrire sono gli attaccamenti e ciò che noi ci aspettiamo dagli altri. Non ho nulla contro l’amore mordi e fuggi di oggi, c’è sempre stato, e se fatto con consapevolezza non è da demonizzare, in fondo fare l’amore è anche giocare. La sessualità è fondamentalmente pensiero, erotismo, più questo è aperto e fantasioso e più la sessualità diventa appagante. Innamorarsi è una fusione nucleare, è espandere il pensiero a tutto l’universo, quando sei innamorato hai l’impressione di fare l’amore con tutte le cose che appartengono a chi ami. In questa realtà sempre più virtuale manca il tempo per metabolizzare i sentimenti, per meditare, tutto viene sostituito velocemente. Ma è anche l’alba di una nuova era, l’anima trova sempre spiragli per manifestarsi, se non ha mani da toccare sviluppa empatia. In fondo l’umanità non ha mai avuto periodi di amori idilliaci, pochi anni fa esisteva ancora il delitto d’onore ad esempio, e le donne erano relegate in casa. Di certo non c’è tutta la liberta che si crede, è tutta apparenza, non siamo liberi. Il nudo è taboo, e parlare di sessualità liberamente, senza essere etichettati in un genere, non è così facile. Un passo indietro rispetto agli anni settanta e ottanta.

D. Nel tuo libro molti personaggi non sono come appaiono. Chi e cosa incarna, invece, la vera volgarità senza possibilità di riscatto e di interpretazioni multiple?

R. Ti rispondo con questi versi della Valduga: “Osceno e sacro l’amore delibera stessa sede per sé e per gli escrementi.” Anche le cose “sporche” hanno un tatto, a volte più di quelle pulite. E’ questo il significato del mio romanzo. Fino a quando ci saranno interpretazioni multiple, ci sarà volgarità, la speculazione mentale può in teoria vedere volgarità in tutto. La volgarità ad esempio, strumentalizzare notizie presentandosi in una veste “pulita” ed avere il monopolio televisivo. E’ dare in pasto alle persone programmi spazzatura, manipolare le persone semplici, o violentare chi ha già subito violenze, usandolo come merce, prodotto. Senza nemmeno chiedere il consenso. Gli esseri volgari, sono gli sciacalli in ogni ambito.

D. Il tuo, in qualche modo, è un romanzo in cui i vari pezzi vanno ad incastro, ma è come se mancasse qualcosa per far quadrare l’immagine finale…

R. I personaggi sono maschere, come un gioco di specchi. Siamo tutti specchi nel momento in cui in un altro vediamo dei difetti o dei pregi. Perché vediamo ciò che ci appartiene: altrimenti non lo vedremmo affatto. Vediamo, molte volte, una parte di noi che non accettiamo. Sì questo romanzo è decodificabile come la summa di una serie di riflessioni amare e come una sorta di antidoto a una incomunicabilità, che poi ha trovato una storia in cui auto-narrarsi. E’ il frutto dell’elaborazione di un dolore, anche se poi non si finisce mai di elaborare, perché di base c’è un senso di solitudine e paure sempre in agguato. E’ frutto di un percorso catartico, dove tento di giungere a nuove consapevolezze attraverso la sofferenza. Anche se a volte mi sono chiesto se fosse necessario tutto questo struggimento, questo logorio interiore. Forse no: è una cosa che ho capito molto tardi, quando di emozioni mi ero già svuotato. Ho un ricordo di quello che ero, prima di amori devastanti. E mi manco. Non a caso, il finale di questo scritto è abbastanza ambiguo e insoluto. Certe cose poi si capiscono nel seguito La nuda anarchia dell’ anima sempre edito da Milena edizioni. In particolare il secondo romanzo farà luce sul personaggio di Rebecca, già appassionata di chimica, che cerca quell’unica molecola che possa guarire tutti i mali. Verranno svelati anche alcuni retroscena relativi ad altri personaggi del primo romanzo. Un libro, il secondo, dove anche la sessualità diventa surreale: i corpi perdono peso, si fondono davvero. Si percorrono all’interno

D. Com’è la tua Torino?

R. Torino è una città crepuscolare: una città buia non solo d’inverno, ma anche in altre stagioni. Torino è una città giovane e antica allo stesso tempo, frizzante per via delle università, quando tutto gira bene ci sono sempre varie cose da vedere, sentire… si avverte però un certo distacco, un lockdown perenne. C’è una certa decadenza: molte belle realtà hanno chiuso, come ad esempio negozi storici. La decadenza c’è perché l’urbe sta perdendo la sua anima. I negozi storici sono sempre di meno, in alcuni casi rimangono le insegne… Librerie e prodotti tipici sono sostituiti da negozi tipo Bangladesh, con vetrine dove fanno bella mostra di sé bottiglie di alcool, e insegne posticce, che richiamano una certa malavita.

D. In te ho percepito le eco dell’Uomo che amava le donne di Truffaut e di Dolcenera di De Andrè. Ci sveli altri autori che intrecciano le loro parole alle tue e le strade che hanno portato al vostro incontro?

R. Quando ho scritto questo libro ho letto La prigioniera di Proust: in certe sue pagine c’è una luce impareggiabile, amo le sue descrizioni, se si ha pazienza, perché Proust ne richiede, escono pezzi anima fuori dal tempo. Amo gli autori francesi dell’erotismo, uno di questi è George Bataille. Il suo libro Storia dell’occhio, racconti di un erotismo surreale e intenso, racconti sporchi e sublimi, che in un libertinaggio della fantasia, toccano corde dell’inconscio. Cose molto lontane dall’erotismo Cinquanta sfumature di grigio, ad esempio, un romanzo che venne pubblicato dopo che avevo finito di scrivere il mio, e dal quale mi sento lontano anni luce. In definita, è difficile scovare la poesia, è qualcosa che esce fuori dalla sceneggiatura. A volte è una visione brutale, di una dolcezza infinita.

a cura deLa lettrice testarda”

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